La scorsa settimana ho visto Unposted, cioè l’apologia di Chiara Ferragni, al cinema, pagando il biglietto. Non vi spiegherò perché, così potrete pensare tutto il peggio di me, in caso siate della scuola di pensiero “vergogna, le dai pure i soldi!”. Perché i vostri giudizi non mi tangono.
Vabbe’, ci ho ripensato! Ve lo dico soltanto perché i vostri anatemi mentali siano meglio indirizzati: lavoro nella comunicazione, quindi sì, mi piace essere informata e conoscere direttamente ciò di cui parlo, non per sentito dire.
Non sono una critica cinematografica, ma critica sempre: anche quando sono d’accordo con quello che dicono, finisce che in the end non sono manco più d’accordo con me stessa.
Dunque, mettendo da parte il fastidio per alcuni passaggi del documentario e il mio amore per Fedez, nato in quella sala del cinema, come un virgulto tra il cemento, inaspettato e pure subito calpestato, estirpato e ciao… ho perso il filo.
Dicevo, mettendo da parte questo, penso che ci sia un aspetto particolarmente interessante, messo in luce da una mia cara amica, da un po’ anche mamma.
La Ferragni piace a una fetta di pubblico perché è diventata l’icona della donna che non si annulla per la maternità, che fa scelte libere e a volte dolorose ma necessarie, in nome della sua realizzazione professionale e personale, che non allatta e non rinuncia a godersi la vita (dal momento che ne abbiamo una sola).
Le mamme normali trovano in lei una vera e propria guru, e attraverso di lei ottengono riconoscimento e deferenza, stima e attenzione dagli ottusi, e questo è un aspetto che non avevo mai considerato.
Adesso: io come vi dicevo sono critica, e pure molto polemica, e poiché il tema della maternità mi ha sempre emotivamente tenuta incollata, anche se ormai sono destinata a diventare una primipara attempata, io mi chiedo… ma c’era bisogno di Chiara Ferragni per ottenere rispetto? Rispetto rispetto (non è una ripetizione, e comunque provateci voi a fare frasi di senso compiuto accostando due volte la stessa parola poi ne riparliamo) alle proprie scelte, al proprio corpo, alla propria libertà.
Ma che, DAVERO?
Io più che vedere nella Ferragni una guru sarei per un bel VAFFANGURU a chi, senza i 6 milioni di post quotidiani dell’Insalata Bionda, si dimostra incapace di non giudicare, non essere moralista, non dare consigli non richiesti.
Agitare l’iPhone con il profilo Instagram della Ferragni come vessillo?
NO, GRAZIE! Non ce n’è bisogno.
Ecco cosa a mio avviso sarebbe davvero efficace:
- Educare la gggente a pensare alla propria vita. Eventualmente, se quest’ultima dovesse risultare particolarmente vuota, educare la gggente a riempirsela senza riempirsi la bocca.
- Non fare diventare speciali madri che dovrebbero essere la normalità: mia mamma ha cresciuto due figli lavorando ogni giorno dalle 8 alle 17.30. Una splendida mamma normale che ha fatto il più speciale dei miracoli (anche se uno dei figli sono io, quindi possiamo discutere sui risultati).
- Fregarsene e non cercare per forza il consenso di tutti: questo vale per ogni persona, uomo o donna che sia, che si parli di lavoro o di palestra o di un corso di teatro. Allora, perché non può valere anche per le mamme? Se qualcuno le critica perché non allattano… spallucce! Niente è più efficace per far desistere detrattori e madri (o non madri) frustrate
- Quando qualcuno vi dice che non dovreste lavorare con la prole a casa, passargli l’IBAN per farvi accreditare il suo stipendio.
Perché, alla fine di tutto, qui si ride e si scherza, ma io da questa visione – sia del documentario che della vita – sono uscita davvero amareggiata.
In soldoni: se un giorno avrò la fortuna di entrare nel club e stringere tra le braccia un alieno bellissimo, non voglio in alcun modo ASSOLUTISSIMAMENTE sentirmi rappresentata da Chiara Ferragni né dovermi pensare riconosciuta grazie al suo filtro (e ai suoi filtri).
Per una volta non scherziamo, grazie.
Cordiali saluti e VAFFANGURU.
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