Sono stata in vacanza in Abruzzo.
“Ma dove ci sono stati gli incendi da poco?”, sì, ero lì due giorni prima che scoppiassero gli incendi, a l’Aquila.
“L’Aquila? Quella del terremoto?” Esatto, proprio lì, e poi mentre giravo i dintorni sono sconfinata nel Lazio, e mi sono ritrovata ad Amatrice, e mentre che c’ero sono andata a fare una visita anche lì.
No, non è il racconto delle vacanze di Bruno Vespa che va a cercare materiale per Porta a Porta summer edition, ma sono proprio le mie vacanze, e sono nate per caso, partendo dall’annosa questione: Mare o Montagna?
Nell’estate del Covid abbiamo deciso di fare le nostre ferie in Italia, e dopo giorni di dibattiti familiari armati di cartine e righelli per misurare le distanze (no, abbiamo usato google maps come tutti, ma mi piaceva l’immagine vintage!) abbiamo optato per la soluzione più democratica possibile: 4 giorni di (sofferta) montagna e 4 giorni di (finalmente) mare. Così mi sono preparata psicologicamente ad affrontare percorsi naturalistici e sentieri, con in mente un solo obiettivo: sopravvivere, e arrivare in Puglia.
E qui entra in gioco l’Abruzzo, meta scelta per la parte escursionistica della vacanza, e il gran Sasso: inizialmente solo un enorme ostacolo tra me e il mare, ma poi ho iniziato a conoscerlo meglio.
Per questa porzione di vacanza abbiamo stabilito il nostro “campo base” all’Aquila. Non ho idea di come fosse la città prima del terremoto, i cui segni sono ancora molto evidenti nello stile architettonico prevalente, quello del “puntello”. Ma tra una facciata sghemba e un palazzo in rovina si apre un centro storico che rinasce, un sacco di vita (e di distanziamento sociale) e di bellezza che risplende con forza ancora maggiore, perché è tornata in piedi dopo una catastrofe. Ora riesco a capire davvero l’ostinazione con cui gli aquilani vogliono ritornare ad abitare il loro centro storico.
L’Aquila è una città accogliente, con un ufficio del turismo che certi luoghi più blasonati se lo scordano, immersa nel verde, un enorme parco affiancato al centro dove ho visto l’idea più geniale degli ultimi secoli: una ENORME area giochi recintata con accanto, in posizione sopraelevata, praticamente una torretta di osservazione, un favoloso chiosco per gli aperitivi! Mamme rilassate e bambini felici!
Dopo essere sopravvissuta al primo (e ultimo) tentativo di trekking della settimana, abbiamo deciso che i sentieri del gran Sasso non fanno per me, visto che mi sono vista superare chiunque passasse di li. Così ho deciso di dedicarmi al cibo, arrosticini come se non ci fosse un domani, e all’esplorazione dei dintorni. Intanto mentre il resto d’Italia boccheggiava dal caldo, tra i borghi medievali non mi sono nemmeno resa conto che le temperature si fossero rialzate così tanto e la notte dormivo sotto la trapuntina. Poi non te li vai a mangiare 2(chili) di confetti a Sulmona? Perfetto esempio di economia a km 0, dal produttore al consumatore senza nemmeno uscire dal paese!
Nel mio girovagare in questa strana vacanza sono arrivata ad Amatrice, e la curiosità di andarla a visitare ha vinto. È stato un colpo al cuore, perché ancora una volta è difficile immaginare se non sei lì. Una sequenza di container accompagnano l’ingresso in città: il container posta, dove i vecchietti vanno a ritirare la pensione prima di comprare il cotone nel container “la bottega del filato” e andare a messa nel container-chiesa, identificabile dal cartonato di un rosone appeso sulla porta di ingresso, e una torre di tubi innocenti con una campana appesa a fare da campanile. Poi c’è il centro commerciale, dove hanno raccolto tutti i negozi del paese in un edificio prefabbricato, che immagino adesso svolga la funzione di un centro città che non c’è più. Un senso di impotenza ti assale a visitare questi luoghi, misto a senso di colpa per l’aiuto che non hai dato. Per compensare mi sono fiondata alla ricerca del caseificio, perché si sa che il senso di colpa sta benissimo con il cibo.
Ho comprato dell’ottimo formaggio “tutta roba locale, perché ora noi dobbiamo ripartire, e se non ci aiutiamo noi non lo fa nessuno”.
Non sono mai stata della scuola di pensiero “non ti lamentare, che c’è chi sta peggio”, ma a volte è bene ricordarselo Entrare in contatto con chi ha vissuto un dramma vero, ascoltare le persone che hanno voglia di parlare, empatizzare con loro, fa allenare a comprendere l’altro senza per forza doverci incappare direttamente nelle cose. Se dopo tutto quello che vi ho raccontato di questi luoghi non vi ho ancora convinto a fare le valige, ecco l’ultima buona motivazione: per fare e farvi bene.
L’amico della bottega alla fine della chiacchierata ha regalato a mio figlio un foglio con la ricetta originale dell’Amatriciana, perché in fondo con il cibo, oltre che il senso di colpa, ci sta ancora meglio l’amore (ma mi raccomando, la cipolla non ci va).
Leave a Reply