Quando si parla di donne, di diritti e di aborto è un immenso vociare da parte di chi invece dovrebbe solo tacere.
Parlano di aborto suore e preti, loro che per scelta personale hanno deciso di non avere figli.
Parlano di aborto gli uomini, loro che spesso sono una delle cause principali di questa scelta.
Parlano di aborto donne che hanno avuto la fortuna di avere un marito, una casa, un conto corrente e soprattutto gravidanze volute, cercate e bambini in salute.
Queste persone parlano e poi parlano ancora, di cose di cui probabilmente non capiranno mai nulla. Parlano senza la capicità di mettersi nei panni degli altri.
Ho sentito uomini dire che sì, anche l’aborto dopo uno stupro andrebbe cancellato, perché è li che la donna dovrebbe tirare fuori il coraggio. Che anche quello è un bambino. Che va bene tutelare la donna, ma ai bambini chi ci pensa? E si finisce subito col sentirsi dentro ad una puntata dei Simpson.
Ho sentito dire che un figlio è sempre un dono del cielo, anche quando arriva per un preservativo rotto, per la pillola che non ha funzionato o con malformazioni tali da renderlo un vegetale per sempre.
Dicono che abortire sia sbagliato, un peccato mortale. Parli di anticoncezionali e ti danno della sgualdrina. Vietato anche solo nominarli. Banditi dalle scuole. No all’educazione sessuale che poi si sa, tutti i ragazzini vogliono fare sesso. In effetti è risaputo, non parlarne è il modo migliore per far si che sedicenni in preda all’ormone stiano a debita distanza l’uno dall’altro.
Parlano di aborto come di anticoncezionale alternativo, come se andare a praticare un’interruzione di gravidanza fosse sta passeggiata di salute e di relax. Io non sono nessuno per parlarne, ho dei bambini cercati e voluti, arrivati subito, amati dalla prima ecografia, allegri e in salute.
Ma ho forse qualcosa che ad altri manca, la capacità di essere me stessa e al tempo stesso la donna abbandonata che non sa come fare a portare a termine la gravidanza.
Sono io ma sono anche la donna che è stata violentata e che scopre di avere dentro di se il frutto di quella violenza.
Sono io ma sono anche la sedicenne che si scopre incinta perché lei e il fidanzato sono ancora due bambini e sono finiti in una cosa più grande di loro.
Sono io ma sono anche la donna che decide con coscienza di ricorrere all’aborto perché un altro figlio, col lavoro precario non è possibile.
Sono io ma anche la donna che scopre di aspettare un bambino gravemente malato, a cui una volta nato sarà riservato solo dolore e allora, come ultimo gesto di amore materno, decide di evitargli tutta quella sofferenza.
Sono io ma anche qualsiasi altra donna che in un momento così difficile, dove servirebbe solo empatia, si trova davanti persone incapaci di mettersi nei suoi panni.
Perché è questo che manca, provare a essere per un giorno, un giorno soltanto quell’altra persona. E allora forse tante persone, magari, riuscirebbero a tacere.
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