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STING (che in effetti, un po’, c’ aveva avvertito)
“Canterò in Italiano ma farò una figuraccia” aveva detto Sting.
Seee, dai. Sting no. Dai. E invece…
Cioè, un attimo.
Non userei il termine figuraccia con Sting finché non lo sentiremo cantare ruttando.
E anche lì… chissà.
Piuttosto avrei usato un’altra parola, una a caso, purché anglofona.
Perché, davvero, le eleganti storture dell’uomo inglese che parla/canta in italiano, a me hanno sempre affascinato. Ma se a un certo punto hai l’impressione che Sting stia cantando ArrivedOrci di Elio e le Storie tese… senza l’intento comico che c’è in quella O... allora qualcosa è andato storto.
Ps. Comunque, per la serie “Gente che è più in forma di me”, anche Sting è in formissima. E senza botox. Almeno spero.
MORO META
Li hanno eliminati per plagio. Pare che la loro canzone sia uguale – troppo – a un’altra.
Cioè, tra tutte le canzoni che somigliano a quella di Moro-Meta, ce n’è una che somiglia di più. Tanto di cappello all’orecchio musicale di quello che se ne è accorto.
BAGLIONI
A questo punto inseritelo in gara. Diamogli ‘sto codice e via: lui vuole cantare, non fa altro e allora dai, che magari vince pure.
BIAGIO ANTONACCI
Biagio Antonacci (un altro in formissima, oh, ma che è!!) che canta male, poi duetta con Baglioni e duetta male, poi ci dà lezioni di vita sull’importanza di uscire a godersi le piccole cose, essere gentili e “uscire di sera, passeggiare per la strada, citofonare a una persona che ami e dire: Facciamo due passi insieme” – cito testualmente – ha messo in scena tutte le declinazioni di “Rottura di Coglioni”.
IL VESTITO ROSSO DELLA HUNZIKER
Lo voglio. Per non andare da nessuna parte, per sfigurare, sì, non mi interessa, lo voglio.
LA LEOSINI
La Leosini è entrata in scena fingendo di “interrogare”, a modo suo, Baglioni equivocando volutamente il testo di Questo piccolo grande amore.
5 minuti di comicità vera e elegante.
Per un attimo, solo per un attimo, mi sono tornate alla mente certi fatti di cronaca e ho immaginato che gli interrogatori ai colpevoli di femminicidio vengano condotti davver così. Ma questa è un’altra storia
LA VANONI
La Vanoni, almeno, non è più in forma di me.
LA LETTERA APERTA. (Fin troppo)
Avete presente quando siete a una festa di famiglia e arriva quello zio?
Quello zio che “Per carità gli voglio bene eh… ma… ”
Quello che “Oh, ti sei ricordata di invitarlo? Che se no quello se la prende!”
Quello zio che a un certo punto, per cortesia, gli chiedi: “Zio, come va?” e lui parte con la storia della sua vita? E non con aneddoti interessanti…. no.
Con cose che hai già sentito 1000 volte, al punto che potresti correggere tu i dettagli, se solo lui non li ricordasse maledettamente bene tutte le volte.
E all’inizio sorridi per finta, poi cominci a costruire mentalmente una planimetria della casa, per studiare la via di fuga più rapida, ma poi ti accorgi che non ci sono vie di fuga e continui a fingere e non ti resta che inscenare uno svenimento, finché non arriva il parente razionale e navigato che zittisce lo zio con “CHI VUOLE UN CAFFÈÈÈ?” anche se ancora siete al primo?
Ecco.
La seconda puntata di Sanremo è stata così. Il Pippone dello zio.
Laddove lo zio che fa il Pippone è Pippo Baudo. Quando si dice “nomen omen”.
Del breve show di Fiorello, durante la prima serata, non resta che un tiepido ricordo.
Dico tiepido perché la trovata della lettera aperta di Baudo a Sanremo è stata raggelante.
E non userei il termine Amarcord perché non c’era niente di felliniano, poetico e fascinosamente grottesco. Era solo l’autocelebrazione di cosa Pippo ha fatto, chi ha scoperto e come. Il tutto a metà tra il discorso al funerale e quello al matrimonio che, come sappiamo, si somigliano.
Lo strazio è stato tale che sono scattata dal divano e ho urlato “CHI VUOLE UN CAFFÈÈÈ?”
Ma, purtroppo, io non sono quel partente razionale e navigato. Se lo fossi, avrei capito che Baudo non era davvero a casa mia, era nella tv, “nella scatoletta”,come dice lui, e non ci puoi fare nulla.
Il parente navigato lo sa, quando non ci puoi fare nulla.
Io invece sono la parente scema che non si arrende all’idea che Sanremo- e tutta l’Italia, in realtà- è Pippo Baudo, che non ci sono vie di fuga finché continueranno a invitarlo.
Sono quella scema che pensa che dovremmo prendere il coraggio a due mani e smettere di invitare chi non ci va di invitare, per il gusto un po’ ossessivo di lamentarci, poi.
O, perlomeno, se proprio invitiamo lo zio, facciamoci trovare, nuovi, diversi, pronti ad accoglierlo con le nostre differenze, la nostra freschezza.
Invece no. Su un palco dove il top della comicità è stato uno show sulle note di Despacito, forse il tormentone te lo devi aspettare. Proprio nel senso del tormento.
Tutto il resto, onestamente è passato in secondo piano.
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