Sono un donatore di sangue.
Mica è una roba facile che possono fare tutti, eh? Occorrono determinati requisiti, tanti che Rambo si iscriverebbe ad un corso di uncinetto, piuttosto.
Allora, devi:
Insomma, non è cosa facile, credetemi.
Poi ci sono quei rompicoglioni dei volontari!
Ma se vedi che sono appena sveglia e mi girano, cosa vieni a salutarmi e sorridermi e fare il figo alto 1 metro e 90 con gli occhi azzurri (ma azzurri azzurri, eh?) il fisico palestrato e i capelli da surfista?
Ma non lo capisci che io voglio solo stare lì a rimuginare su chi si prenderà il mio prezioso sangue?
Eh sì, perché tu non lo sai.
Potrebbe pure andare alla tua vicina rompicoglioni, ad un pedofilo, a Salvini… capisci? Salvini!
Non sono stata sempre così forte e coraggiosa, no no.
Quando ero poco più che ventenne, avevo la pressione così bassa che i farmacisti buttavano le macchinette convinti che non funzionassero.
Edward Cullen aveva la pressione più stabile della mia.
Una volta uno ha perfino chiamato Negan di Walking Dead.
Quindi per donare il sangue ricorrevo a trucchi formidabili, tipo bere del tè zuccherato prima di andare, dichiarando poi di essere digiuna (che delinquente).
Insomma, una volta esco dal camion dell’Avis, attraverso la strada per prendere il 39, mi fermo alla fermata, e mi accascio come Cassano per ottenere il rigore.
Giù, come un sacco.
Intorno a me alla fermata tante persone.
Che si scansano.
Mi guardano schifate.
Evitano la tossica che non si regge in piedi già alle 8 del mattino, sta schifosa.
Io resto sul marciapiede.
Guardo le persone cercando aiuto, cercando di dire che no, non sono tossica, ho fatto una cosa bella, per questo sono svenuta, che devono aiutarmi (a parte che dovrebbero aiutarmi anche fossi tossica, ma questo è un altro discorso)
Ma non riesco a parlare.
Fisicamente potrei anche, non sono poi così grave.
Ma non ho avuto voglia di dirglielo, a questi stronzi.
Invece ho immaginato che quella bella signora con le meches e un cappotto che costava come la mia macchina, avesse un figlio. E che questo figlio avesse un incidente. E che arrivasse in ospedale e chiedessero urgentemente del sangue B+. E che l’unica sacca di sangue B+ fosse quella che avevo appena donato io. E che la usassero per salvare la vita di suo figlio. E riuscissero a salvarlo.
E io, nascosta dietro una colonna della sala rianimazione, la osservassi mentre, in lacrime, ringraziava lo sconosciuto eroe che lo aveva donato.
Ecco. Per questo non voglio mai pensare a chi va il mio sangue.
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Ma che gente stronza, si soccorre anche un tossico!