Solo adesso mi rendo conto di quello che è successo sabato, 23 settembre 2017.
Mi ci è voluto un giorno, quasi due, per realizzare.
Torno con la mente lì, alla fine di quella serata.
Siamo sole.
Siamo io, la damigella d’onore e lei, la sposa: bella, il viso disteso, il trucco leggero che lascia intravedere le piccole rughe d’espressione sul suo volto, a testimonianza delle infinite e intense emozioni della giornata.
La gente, i vestiti, i confetti, i pianti, le risate, gli sguardi della sposa: sempre impeccabile, sempre perfetta e dolce con tutti.
Come sa esserlo solo lei.
Con dolcezza, mesi prima, mi aveva detto che si sarebbe sposata il 23 settembre.
L’ipotesi che io mi perdessi il suo matrimonio, chiaramente, non era proprio contemplata.
Con dolcezza mi ha convinto a indossare l’abito pervinca, da damigella d’onore, come nel film con Julia Roberts, quello triste.
“Ma perché dobbiamo replicare un film triste?” avevo detto io.
“Non mi rompere le palle” aveva risposto lei, sempre dolce.
E sempre con dolcezza, ha gestito tutto, dal primo petalo di rose lanciato nella navata della chiesa, alla forma dell’ultimo tovagliolo, dell’ultimo tavolo del ristorante.
Mesi di preparativi e frenesie, consumati in 24 ore. Meno di 24 ore.
Ma adesso, passata la mezzanotte, siamo messe lì, a bordo piscina, io e lei.
Lo sposo ancora preda degli amici ubriachi, gli invitati già prede della digestione, i camerieri ormai prede degli invitati e probabilmente della voglia di uccidere qualcuno e io e lei, prede di nessuno, libere anche dai tacchi, No Filter, prede solo di noi stesse, della nostra amicizia infinita e, ancora una volta, della dolcezza: la sua, spiazzante e eterna e la mia, dubbia e intermittente.
La festa adesso sembra un po’ più lontana e si può ragionare meglio su quello che è appena successo.
Lei fissa il cielo davanti a sé, io fisso l’acqua tremolante della piscina.
Lei si guarda la mano con la fede.
Io guardo il bicchiere di gin che sta per cadere, dalla sua mano con la fede.
“Quando la sposa, saggia, punta alla fede, la damigella stolta punt al gin” dico.
Lei sorride e molla un piccolo rutto. “Colpa del liquore dolce che ho bevuto prima” dice.
Visto? C’è qualcosa di dolce in lei, anche quando rutta.
“Ci pensi a quello che hai appena fatto?” domando, chiaramente retorica.
“Ho ruttato?” risponde lei, chiaramente ubriaca.
“No, mi hai fatto perdere il concerto dei Rolling Stones a Lucca”
“Checcazzo… ” diciamo insieme.
E ci stendiamo sul prato a cantare:
You can’t alway gets what you want, dice lei
But if you try sometimes, dico io
You might find, dice lei
You get what you need, dico io
“Merda” ripetiamo, insieme.
[:it]
Solo adesso mi rendo conto di quello che è successo sabato, 23 settembre 2017.
Mi ci è voluto un po’ per realizzare.
Torno con la mente lì, alla fine di quella serata.
Siamo sole.
Siamo io, la damigella d’onore e lei, la sposa: bella, il viso disteso, il trucco leggero che lascia intravedere le piccole rughe d’espressione sul suo volto, a testimonianza delle infinite e intense emozioni della giornata.
La gente, i vestiti, i confetti, i pianti, le risate, gli sguardi della sposa: sempre impeccabile, sempre perfetta e dolce con tutti.
Come sa esserlo solo lei.
Con dolcezza, mesi prima, mi aveva detto che si sarebbe sposata il 23 settembre.
L’ipotesi che io mi perdessi il suo matrimonio, chiaramente, non era proprio contemplata.
Con dolcezza mi ha convinto a indossare l’abito pervinca, da damigella d’onore, come nel film con Julia Roberts, quello triste.
“Ma perché dobbiamo replicare un film triste?” avevo detto io.
“Non mi rompere le palle” aveva risposto lei, sempre dolce.
E sempre con dolcezza, ha gestito tutto, dal primo petalo di rose lanciato nella navata della chiesa, alla forma dell’ultimo tovagliolo, dell’ultimo tavolo del ristorante.
Mesi di preparativi e frenesie, consumati in 24 ore. Meno di 24 ore.
Ma adesso, passata la mezzanotte, siamo messe lì, a bordo piscina, io e lei.
Lo sposo ancora preda degli amici ubriachi, gli invitati già prede della digestione, i camerieri ormai prede degli invitati e probabilmente della voglia di uccidere qualcuno e io e lei, prede di nessuno, libere anche dai tacchi, No Filter, prede solo di noi stesse, della nostra amicizia infinita e, ancora una volta, della dolcezza: la sua, spiazzante e eterna e la mia, dubbia e intermittente.
La festa adesso sembra un po’ più lontana e si può ragionare meglio su quello che è appena successo.
Lei fissa il cielo davanti a sé, io fisso l’acqua tremolante della piscina.
Lei si guarda la mano con la fede.
Io guardo il bicchiere di gin che sta per cadere, dalla sua mano con la fede.
“Quando la sposa, saggia, punta alla fede, la damigella stolta punt al gin” dico.
Lei sorride e molla un piccolo rutto. “Colpa del liquore dolce che ho bevuto prima” dice.
Visto? C’è qualcosa di dolce in lei, anche quando rutta.
“Ci pensi a quello che hai appena fatto?” domando, chiaramente retorica.
“Ho ruttato?” risponde lei, chiaramente ubriaca.
“No, mi hai fatto perdere il concerto dei Rolling Stones a Lucca”
“Checcazzo… ” diciamo insieme.
E ci stendiamo sul prato a cantare:
You can’t alway gets what you want, dice lei
But if you try sometimes, dico io
You might find, dice lei
You get what you need, dico io
“Merda” ripetiamo, insieme.
[:]
Leave a Reply