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La psicologia spiega perché i film horror sono tutti uguali

Un genere letterario e cinematografico che non conosce crisi è l’horror. Ma perché funziona tanto? A chi giova vedere una pellicola infestata di zombie squartati, esorcismi e colpi di scena da infarto?
Beh, sicuramente l’umanità è da sempre attratta dal mito della paura: pensiamo a Dante e ai romanzi gotici, ad esempio.

Non sarà che l’uomo ha una crisi identitaria innata, a causa dei cambiamenti fisici che lo caratterizzano nel corso della vita, e si immedesima in uno zombie? 

Per gli psicologi è un po’ così in effetti, e considerando che i più grandi appassionati di horror sono gli adolescenti il cui corpo è in continua trasformazione, tutto torna.

Inoltre, pare che la paura sia un toccasana per scaricare l’adrenalina, di sicuro meno rischioso di dedicarsi al Bungee Jumping o fare le penne in moto sulla tangenziale.
Ci sono standard irrinunciabili che si ripetono immancabilmente in ogni pellicola:
protagonista scaltro, trama piuttosto inconsistente, coprotagonisti deficienti e improvvisati che prendono decisioni alla cazzo di cane, musica eseguita con violini che esaltino il pathos, sorprese da colpo apoplettico, porte di casa con chiavistelli che si aprono con una scorreggia, gente che dorme al piano terra con la finestra aperta, telefoni che non funzionano quando serve, lampadine di casa a basso voltaggio che proiettano ombre antropomorfe terrificanti, sottoscala e scantinati pieni di ragnatele (ma non puliscono mai ‘sti zozzoni?) illuminati da lampadine che vanno a intermittenza, vicini di casa invadenti o stralunati, poliziotti rincoglioniti con le pistole scariche, automobili di merda che si inceppano sul più bello, zombie coi capelli sporchi (ma non c’è un parrucchiere nell’aldilà?) bambolotti rotti animati, bambini con la lungimiranza di Paolo Fox, piscine con gli squali o i piranha (io vorrei tanto sapere chi cazzo ce li butta, e come sopravvivono e se usano il cloro per sbiancare i denti), e poi gente che va al buio nei boschi con la stessa disinvoltura di quando è in via Montenapoleone, corridoi chilometrici, botole-trabocchetto da cui spunta sempre un paio di braccia, asce, falci, mazze e martelli reperibili con facilità anche in cima a una montagna, torce con pile che si esauriscono sul più bello, e ettolitri di sangue: rosso per i vivi e nero per i risorti.

E vogliamo parlare del finale? Bene, il finale non c’è, perché devi rimanere sempre col dubbio che i mostri non siano sconfitti del tutto. Del resto sono zombie, mica umani banali!


Ma saranno scemi ‘sti film? Come si fa a credere a baggianate simili?

E adesso scusate, vado a chiudere le finestre e accendere tutte le luci di casa, che ho sentito uno scricchiolio.

Lucilla Masini

Lucilla Masini, nata a Lucca di cuore toscano, donna mancata, medico mancato, arredatrice forzata, umorista per vocazione.

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Lucilla Masini

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