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È un mese che mi tormento: un mese.
Miranda Hobbes si candida per fare la governatrice di New York.
Proprio lei: Miranda, la rossa, l’avvocatessa iper impegnata, iper pragmatica, iper organizzata, accoppiata con l’uomo più dolce del gruppo.
Proprio lei, Miranda Hobbes, la cinica realista di Sex and the city.
Quella che ordina sempre le stesse cose dal cinese, ha una relazione con il televisore e lotta per la propria indipendenza. Miranda, quella che, degli uomini, ha detto
“Sanno ricostruire il motore di un jet, ma quando si tratta di donne… Che c’è di misterioso? È un clitoride non la sfinge!”
Insomma, cos’ altro ci vuole per meritarsi di governare New York? O, perché no, gli Stati Uniti?
Per me ha già tutte le carte necessarie, ma visto che pare che il mondo ci obblighi a non valutare le persone e le cose in base alle serie tv – cosa, a mio avviso, del tutto controproducente – vediamo chi è Miranda Hobbes nella realtà.
Cynthia Nixon, 51 anni, una moglie, tre figli.
Il suo programma a parlare chiaro: attivista impegnata per i diritti Lgbt e interessata alle problematiche relative a sanità, istruzione e trasporti.
Se dovesse vincere le primarie democratiche del prossimo settembre, sarebbe inoltre la prima donna e la prima persona omosessuale a governare New York.
Insomma, a parte la sua carriera da attirce, sembrerebbe avere molto da dire e fare. Perché non darle una possibilità?
In fondo è un esempio di novità che non può che giovare a un paese possibilista che con Trump sta vivendo una delle sue era più buie.
Quindi qual è il problema? Su cosa mi tormento?
Ebbene, da quando ho letto questa notizia, sto cercando un’equivalente italiana, che, a parità di popolarità e figaggine, sarebbe bello vedere nello stesso percorso.
Prima mi è venuta in mente Maria De Filippi, che in ventimila anni di tv non è mai riuscita neanche a scollare il braccio intorno alla vita mentre parla, come fosse alle prese con un’interrogazione alla cattedra.
Poi mi è venuta in mente Barbara D’Urso, che parla sempre in diagonale e si fa “battere forte il cuore” pure quando manda la pubblicità.
In preda allo sconforto, quando credevo non si potesse andare più a fondo, mi è venuta in mente Maria Elisabetta Alberti Casellati.
La prima donna ad avere l’incarico alla presidenza del Senato. Nomina fresca di poche settimane. Un simbolo di progresso, dunque. Se fossimo in un telefilm progressista come Sex and the city.
Invece no.
Tanto per cominciare, non vuole che il suo incarico sia declinato al femminile. Lei è il presidente. Il è maschile ma non è importante, dice lei.
Casellati, 71 anni, avvocatessa,- sì invece io ci tengo a declinare – docente universitaria, senatrice di Forza Italia dal 94, fedelissima a Berlusconi, contraria alla legge 194 sull’aborto, – quindi, a quanto pare, per lei non è solo la grammatica a non essere importante nelle questioni di genere – contraria alle unioni civili. “La famiglia non è un concetto estendibile” ha dichiarato. Onnipresete nei talk per difendere Berlusconi nel periodo in cui si dichiarava minacciato da “toghe rosse”, nipoti di Mubarak e “scippi alla democrazia”.
Sottosegretaria alla giustizia durante il periodo delle leggi ad personam e legittimo impedimento, madre di due figli, di cui una fatta assumere a capo della segreteria mentre lei era sottosegretaria alla Salute.
Incaricata, pochi giorni fa, del mandato esplorativo, per sondare il terreno politico e formare ‘sto benedetto governo. Ah sì, tale mandato andrebbe affidato a una persona super partes. E non aggiungo altro.
Se non che forse, un po’, ce lo meritiamo il mandato esplorativo noi.
Ce la meritiamo Casellati.
Ce lo meritiamo il nuovo che non avanza e il vecchio che si ricicla
E adesso venitemi a dire che non preferireste anche voi il personaggio di una serie tv.
Venitemi a dire che non siete tromentati anche voi.
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