Giro un ciuffo dei miei capelli intorno al dito e con una voce che avrebbe dovuto essere sensuale, ma è più come una gallina in travaglio, chiedo: “In Toman?”.
Lui fissa di nuovo il menù e dice: “C’è scritto 45. Non può essere in Rial!”.
Noi iraniani, quando parliamo dei prezzi, togliamo tre zeri. Perché? boh!
Come avrete capito, Rial (﷼) è la valuta dell’Iran e Toman – beh – anche quella è la valuta dell’Iran.
Si sa, siamo un popolo a cui piace complicarsi la vita senza motivo.
Prendo il menù e ricomincio a sfogliarlo.
Lui dice: “Thè 35!! Non iraniano eh! Se fossi venuta a casa mia, ti avrei servito una teiera piena di thè, con gaz (un dolce iraniano come il Torrone) e saremmo stati pure più comodi e avremmo speso la metà”.
A bassa voce – per non attirare attenzione – rispondo: “Anche se mi offrissi dieci cappuccini con un chilo di cioccolato Svizzero, no, Italiano, e un piatto pieno di Baklava, non salirei mai a casa tua”.
Ci eravamo conosciuti due settimane prima, su Facebook, in chat.
Mi sembrò molto colto perché per ogni tre quattro sms che gli mandavo io, lui me ne mandava uno, cortissimo.
Al primo appuntamento mi aspettavo che arrivasse con la sua auto a prendermi.
Ci eravamo dati appuntamento all’incrocio tra Azadi (Libertà) e Enghelab (Rivoluzione). Le due strade principali della capitale che si incrociano, si tagliano ed entrambe proseguono per la propria strada! Esattamente come succede nella realtà.
Arrivata lì lo chiamai.
Disse: “Se venissi un po’ più avanti mi vedresti”.
Non vidi la sua auto. Lo richiamai.
Entusiasta: “Scendi dalle scale. Sono all’ingresso della metropolitana!”. “Avrà preparato una sorpresa per me” pensai. Oh che romantico!
Lo trovai davanti alla biglietteria.
Andai verso di lui: “Ma stai comprando i biglietti della metro?”.
Chiese: “Non dirmi che hai la tessera!”.
I suoi occhi brillarono quando tolsi la tessera dal portafoglio.
Prese la carta e iniziò a correre verso il cancello, urlando: “Dai! Corri che passiamo insieme pagando un solo biglietto”.
Avrei avuto bisogno di più tempo per elaborare tutto ciò, ma lui correva e io gli correvo dietro, con i tacchi e un pensiero fisso: “Internet merda. Facebook merda. Chat merda. Uomini Merda. Vita Merda.”
Il vagone era così affollato che dovevo espirare dell’aria per poterla inspirare nuovamente.
Disse che aveva un piano geniale per la giornata: “Ogni cinque fermate scendiamo, saliamo le scale e scendiamo di nuovo per riprendere la metro. Perde chi si stanca per primo e ovviamente, chi perde paga il pranzo”.
Pranzammo in un ristorante di lusso, perché mi si ruppe il tacco prima di scendere dal vagone e dovetti rinunciare alla vittoria. Le mie povere scarpe!
Dopo pranzo avremmo dovuto fare un altro gioco divertentissimo, secondo il suo piano geniale: Io sarei andata nel vagone Donne e lui, dall’altro vagone, mi avrebbe fatto l’occhiolino con un sorriso da maniaco. (Sul serio?).
Da noi ci sono i vagoni solo per le donne. Comodo eh? Esistono perché ci sono degli uomini che non permettono alle loro mogli di essere viste da altri uomini.
La giornata finì così, divertendoci come pazzi.
Finalmente dopo due settimane lo convinsi a invitarmi in una caffetteria molto chic. Ed eccoci qui.
Dopo cinquantacinque minuti passati tra lo studio del menù e il calcolo del rapporto peso/costo di gelati e dolci per capire quanto avremmo risparmiato mangiandoli a casa sua, finalmente esordisce con:
“Insalata 100!” e la sua faccia si gonfia come uno prima di un infarto.
“Beh in un posto così stiloso, ovviamente i piatti sono costosi”.
La sua reazione è la stessa di un uomo iraniano che scopre di dover chiedere il permesso della prima moglie per potersi prendere la seconda moglie:
“Stiloso?? Ma se hanno messo quattro sedie rotte che chiamano antiche e hanno spento le luci per risparmiare sulla bolletta, che di sicuro pagheremo noi prendendo due fette di torta ai datteri.
A casa mia ci sono divani bellissimi che sono anche comodi.
Io con questi soldi mi ci compro l’insalata per una settimana e risparmierei pure per farti una bella sorpresa”.
Sapevo che avrei pagato il triplo per andare da uno bravo psicoanalista per imparare ad aumentare la mia autostima ma sorridendogli comprensiva: “Ordiniamo un thè e lo beviamo in due?”.
“No!! Sembreremmo due morti di fame.
Ho un piano geniale… Ecco! Altre sedute per superare la fobia per le parole Piano Geniale… Ti do una sberla. Tu ti alzi e te ne vai piangendo. Io urlerò TROIA hai dimenticato il telefonino! e correrò fuori anch’io”.
Insistendo sul fatto che senza chiamarmi “troia” non saremmo stati convincenti.
Sto per alzarmi e dirgli che può chiamarci sua madre tr… e CRASH!
La sedia si rompe e sbatto la testa sul tavolo accanto.
Sangue che sgorga dalla mia fronte!
Corriamo in ospedale.
Fino all’incrocio tra Esteghlal (indipendenza) e la strada nella quale si trova l’ambasciata Russa, lui ringrazia Allah e ride felice perché “ce la siamo svignata senza sembrare dei cafoni!”.
Avviso ai ristoratori:
1 – la metà delle chiamate che riceviamo sono un modo per allontanarci dai vostri menù e dalle vostre “décor” di merda.
2 – Se non aveste messo prezzi così alti per un thè che sa pure di pipì, non mi sarei trovata in ospedale a sorseggiare un caffè freddo, in compagnia di uno che prova a convincere l’infermiera che i punti di sutura se li sarebbe potuti fare a casa, con meno soldi.
3 – E comunque, un CHILO di thè Lahijan (rigorosamente iraniano) ottimo colore, ottimo profumo, ottimo sapore, costa sui 50, bastardi.
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