A Napoli un bambino autistico è stato escluso dalla recita di Natale, la madre: «Hanno infranto un sogno».
Facciamo così, pensiamo in positivo: immaginiamo che le maestre non lo abbiano estromesso per non ‘rovinare’ la rappresentazione (il bambino stona, grida, fa movimenti inconsulti e spaventa gli amichetti), ma per evitargli un’inutile gogna da palcoscenico, magari fischi o critiche da qualche genitore o compagno deficiente (dubito che esista gente tanto vergognosa e scostumata, ma va messo tutto in conto, anche e forse soprattutto gli imbecilli).
Ok, conteggiamo tutti gli imprevisti del caso, ma dico: non era forse il caso che le maestre e il preside, ovvero educatori e pubblici ufficiali investiti del ruolo di tutelatori di persone a loro affidate, avvisassero la povera madre, nonché genitrice amorevole di una creatura sfortunata, del fatto che il piccolo non fosse ‘utile’ nemmeno per fare da sfondo, col suo vestitino in pannolenci, cucito su misura?
Quanto fa schifo chi tira il sasso della discriminazione (che non è mai cosa giusta) e nasconde la mano, proprio nell’occasione della recita che rappresenta la nascita del Salvatore (per chi ci crede) che diffondeva il Verbo, e sosteneva che gli ultimi sono i primi?
Eh no, caro Gesù, vedi di aggiornarti: gli ultimi sono ultimi, comprese le loro premurose madri, che non sono degne di sapere che il loro piccolo, adorabile, sofferente e sfortunato amore, non è degno nemmeno di fare da sfondo, durante una fasulla e irrispettosa rappresentazione della nascita di colui che predicava (in questo caso invano) l’eguaglianza sociale.
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