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Lo shampoo secco merita un capitolo a sè.
Credo che, oggi, quasi nessuno sappia nemmeno cosa sia e che l’uso si sia ristretto alla manutenzione dei vecchietti.
(Senza, peraltro, scardinare il primato assoluto del borotalco che, con i nonni, ha sempre avuto un rapporto privilegiato, assorbendone odori ed umori attraverso la quotidiana opera d’infarinatura, parziale o totale, a seconda del grado di parkinsonismo dell’operatore).
Personalmente, posso asserire che lo shampoo secco mi ha salvata. Oddio, forse “salvata” è un po’ troppo biblico. Diciamo “salvicchiata”.
Insomma, mi ha salvata alla meglio, com’era nelle sue possibilità di detergente senz’acqua ma per noi adolescenti anni 70 che facevamo il bagno una volta alla settimana e, in caso di ciclo-weekend, anche ogni due, rappresentava un “pass” per il mantenimento del minimo sindacale di socialità.
Fortuna che, all’epoca, puzzavamo tutti molto più di oggi.
Eravamo maleodoranti di serie. Complici gli ormoni che costringevano le ghiandole, sudoripare e non, a turni di lavoro straordinario, e le case con lo scaldabagno elettrico, quello che, per scaldare l’acqua, andava acceso l’anno prima dell’anno in cui volevi farti il bagno.
Nonostante tutto, c’era comunque un limite anche all’olezzo sfrenato, limite oltre il quale venivi esiliato, isolato e allontanato in rigorosa apnea dai tuoi amici, i figliastri rinnegati di Chanelnumerocinque.
Ma torniamo allo shampoo secco. Il suo corretto uso prevedeva una serie di step da eseguire religiosamente, senza discutere.
Per prima cosa, andava agitato prima dell’uso, come il 90% dei contenuti delle bombolette spray, delle bevande non gasate e di altri affari simili però di natura organica che avevano in dotazione solo i maschi.
Subito dopo, pena il solidificarsi dello shampoo, si doveva spruzzare la polvere sui capelli tenendo la bomboletta a circa 10 cm di distanza dal cuoio capelluto (equivalente alla distanza fra pollice e mignolo dell’apertura massima della mano sinistra misurata con il righello prima di entrare in bagno).
Spruzzavi sopra, sotto, a destra, a sinistra, facevi una giravolta, la facevi un’altra volta guardavi in su, guardavi in giù e sognavi di dare un bacio a chi volevi tu.
Poi ti guardavi allo specchio ed eccoti li, i capelli come Jimy Hendrix però ottantenne, tutti bianchi cadaverati. Devo dire che la prima volta faceva un brutto effetto ma poi ti abituavi.
A questo punto, entrava in gioco la spazzola.
A noi, Melissa P., non ci legava nemmeno le scarpe. Giù colpi di spazzola come se piovesse: uno, due, cento, duecento, mille. Uscivi dal bagno che eri maggiorenne ma con una chioma vaporoso/opaca all’inconfondibile aroma di last al limone che ti rendeva confondibile con tutte le tue amiche, ancelle dello stesso, occulto ma non troppo, rituale purificatorio.
Shampoo secco, colgo l’occasione per ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me. Ti ho amato immensamente, forse di più dello shampoo grasso, ti ho adoperato sempre nel modo corretto e ti ho amorevolmente mantenuto lontano dalle fonti di calore.
Poi, però venne lei.
La permanente. E fu amore a prima vista.[:]
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