Natale,recita,terzo millennio
La recita di Natale ha cambiato nome, ma nessuno ha pensato di avvertire i genitori. E non è più una recita tradizionale dove un paio di malcapitati sono vestiti da bue e asinello. Ora si chiama lezione aperta, e viene indicata sul diario con nonchalance, tra un avviso sul ritorno dei pidocchi e la richiesta del contributo per la gita al museo.
Compare come “lezione aperta della IIB su un progetto non mi ricordo quale” tenuto dalla maestra di religione.
Parliamone… mia figlia non fa religione: perché c’è una lezione aperta organizzata dalla maestra di religione a cui devo partecipare?
Ho tentato di disdire il giorno prima con una mail alle maestre, facendo presente che alle 17 dello stesso pomeriggio c’è il saggio di nuoto sincronizzato, l’arrivo per le feste di una fantomatica cugina polacca, la partita di pallavolo in tv e cominciano pure i saldi nel mio negozio preferito di intimo. Risposta delle maestre: si tratta di un progetto basato sull’inclusione e l’assenza sarebbe quanto mai sospetta.
Ringrazio le maestre e faccio sapere che in qualche modo ci sarò.
Arrivo in ritardo ma non troppo e constato subito che sono presenti TUTTI i genitori. Alle riunioni con le insegnanti di solito siamo in 6, ma tutti hanno capito che quando si parla di inclusione bisogna esserci…
La lezione aperta è una specie di recita (a metà anno????) in cui ogni bambino ha un ruolo (partecipazione) e in cui tutti hanno dato il loro contributo per il risultato finale (inclusione). E il Natale fa capolino dal tavolo della merenda, dove al posto dei soliti biscotti confezionati del Mulino Bianco ci sono fette di Pandoro spolverate di zucchero a velo.
Ascolto, mangio, bevo, faccio foto… ci alziamo per uscire, ma io e mia figlia veniamo bloccate per fare il disegno della nostra mano da appendere sull’albero dell’amicizia.
Fatto… tentiamo di uscire: la mano deve essere colorata.
Fatto… tentiamo di mettere la giacca: dentro la mano dobbiamo scrivere una parola.
Me ne viene una sulla punta della lingua, ma alla fine scrivo “buon umore“, più come mònito per me stessa che come augurio per i bimbi.
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