“Las chicas de cables” ovvero “Le ragazze del centralino”, sono bellissime, freschissime, pettinatissime, truccatissime ed elegantissime anche mentre evadono da un carcere di massima sicurezza, perché, si sa, nulla può scalfire una piega ondulata fatta dalla parrucchiera della prigione.
Dai, non facciamo le snob. Tutte abbiamo passato l’adolescenza a guardare Beautiful o “Anche i ricchi piangono” mentre, tornate da scuola, ci scofanavamo la pasta del giorno prima senza nemmeno scaldarla per non perderci il momento in cui Mariana (Veronica Castro, che ai tempi era la mia personale Meryl Streep) avrebbe finalmente incontrato il suo Luis (è chiaro che io guardavo la seconda – ndr).
Come non adorare quelle atmosfere in cui il piano più perfetto è sempre mandato all’aria dalla “cattiva” che origlia casualmente dietro la porta?
Quelle in cui, se l’eroina bacia per disgrazia l’antagonista (perché costretta, poverina, ma castamente, per carità) entra sempre all’improvviso il suo innamorato che li sorprende e fugge indignato senza lasciarle neppure il tempo di spiegare (ndr – ma tu lo sai, porca l’oca, che lei è innocente, come fa a non capirlo anche lui?? – il solito tonto, ma è così bello…)
Quelle storie in cui il finale con la sarabanda da commedia dell’arte e le fughe rocambolesche (dove i cattivi non solo non sanno sparare, ma nemmeno guidare) permettono ai buoni di riuscire nell’intento.
Le ragazze del centralino è girato come la migliore telenovela: i dialoghi, le situazioni, i personaggi, tutto sembra voler raccontare di amori combattuti, tradimenti e figli perduti e ritrovati. Ti aspetti sempre che arriverà la scena in cui Cico confessa a Paco: “Tua moglie mi tradisce!”
Invece c’è la fregatura! Questa è una storia intelligente, di donne forti e coraggiose. Di amiche e fedeltà. Di emancipazione e lotta femminista. Di dignità e parità di diritti. Di guerra. Di rivoluzione, culturale e con le armi.
Parla di tutte le donne che hanno sfidato il sistema pagando il prezzo più alto. Parla di donne che hanno cambiato il mondo.
Mentre gli uomini, nella migliore delle ipotesi, stavano a guardare. Nella peggiore facevano danni o la guerra.
Anche l’antagonista è una donna, perché mica sono tutte buone le donne forti, ce ne sono pure di stronze, e Dona Carmen è la peggior stronza della storia spagnola.
Lidia, Carlota, Angeles, Sara e Marga, quattro operatrici della compagnia telefonica nazionale spagnola promuovono una rivoluzione, tra amori, amicizie e carriera nella Madrid degli anni ’20, arrivando nel corso delle stagioni fino al regime fascista di Franco.
In una Spagna in cui i diritti delle donne sono ben lontani dall’essere riconosciuti, in cui se una donna viene picchiata dal marito, è lei che va in carcere. In cui se mostri tendenze omosessuali vieni mandata/o in una clinica dove ti “guariscono” a suon di elettroshock (quasi come adesso, ma i sovranisti non usavano le felpe)
In questa cornice loro fanno le centraliniste. Sai che avventura! E invece ne passano di tutti i colori.
Ormai è chiaro che non vi racconto la trama, preferisco raccontare quello che ci ho visto io. E qui ci ho visto una serie carina, non imperdibile, ma decisamente piacevole.
Las chicas de cables è da guardare senza giudicare, perché se ti soffermi sui dettagli la storia fa acqua da tutte le parti. Ma se arrivi agli ultimi 20 secondi della decima puntata della quinta stagione, allora capisci perché.
Allora senti che vuoi bene anche a registi, produttori, truccatori e catering, perché alle eroine volevi già bene fin dai primi 10 secondi della prima puntata.
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