Entro in cucina. Apparecchio la tavola. Apro il frigorifero. Accendo i fornelli. Questo è il mio momento. Se ci fosse un’eruzione del Vesuvio sopra Milano – ipotesi fantascientifica, of course – le ceneri mi ricoprirebbero dalla testa ai piedi qui, davanti al lavello, mentre lavo l’insalata e preparo lo spezzatino.
Ho una laurea. Un lavoro imprenditoriale. Parlo 4 lingue. Suono la chitarra classica. Ma per i miei discendenti sarò immortalata come la “casalinga all’ora di cena”.
L’unica cosa difficile che ho dovuto veramente imparare in vita mia è stata decifrare il ricettario di mia madre. Una specie di Bibbia piena di consigli e segreti tramandati per generazioni in un linguaggio astruso, per poche elette. Il sale, per esempio, aggiungere “a piacere”. E che vuol dire? Io ne metterei sempre il doppio di quello che sta bene a mio marito. Aggiungere olio “a filo”. Di che cosa? Della parete del tinello? Del gradino in marmo di Carrara? Sfumare con vino bianco, come se Giotto abitasse in casa tua. E il “qb”? Quanto basta? Non sarei in grado di stabilirlo nemmeno sotto giuramento.
Viste le difficoltà sui Sacri testi, in cucina io invento in totale libertà.
Per cucinare bene dovrei avere sempre poco tempo a disposizione, perchè così mi riesce tutto meglio. Se avessi un intero pomeriggio, sbaglierei tutto, ma non capita quasi mai.
Per fare qualsiasi preparazione e cottura mi avvalgo di un coltello, un tagliere, una grattugia, qualche tegame e posate varie. Vade retro Bimby, bambi, bingo e bongo. Il robot non lo tiro fuori da secoli.
Amo cucinare per me stessa, per regalarmi qualcosa di buono. E credo sia questo l’unico, vero ingrediente segreto di ogni ricetta. Alla faccia di tutti i Masterchef, Top Chef e Cucine da incubo dell’Universo.