La scorsa notte sono stata male, crampi allo stomaco e… mettiamola così, ho passato ore sul water. Sarà stata la solitudine delle 3, il tempo da lupi, il malessere e la stanchezza, ma ho iniziato a chiedermi: che avrò? Saranno state le schiacciatine unte, le pizzette e il fritto mangiato a cena, sarà stata la lezione di prova di Pilates del pomeriggio, oppure… sarà COVID?
La risposta vera, quella che in fondo il mio inconscio sapeva essere l’unica possibile, era che il mio corpo si era ribellato all’ennesimo tentativo di fargli fare una parvenza di attività fisica, per quanto si trattasse di un corso per la terza età. Ma sarà che ormai siamo tutti in un continuo stato di allerta, sarà il carico di ansia per ogni forma di interazione sociale, ma l’idea di essermi beccata il Covid in una rara forma intestinale non mi sembrava del tutto peregrina.
La prima cosa sensata da fare mi è sembrata quella di non andare in ufficio, tanto ormai con questo smart working nessuno fa caso chi va a lavoro e chi resta a casa. Seconda fase, misurazione della febbre: continua e costante. Praticamente ho passato la mattinata con il termometro sotto l’ascella, prendendo nota di tutte le oscillazioni della temperatura su un grafico, e alla fine unendo i puntini mi è uscita la scritta “ma che cazzo fai!“. Sì, forse la sto prendendo male.
Mascherina, sempre: all’aperto, al chiuso, da sola, in casa e con la mia famiglia. Mio marito mi ha guardata e mi ha detto… in realtà non mi ha detto niente, ha pensato, saggiamente, che fosse meglio tacere. I pazzi vanno assecondati.
E poi ho fatto l’unica cosa davvero saggia in questi casi: ho chiamato la mamma, che ha rimesso tutto a posto: anche lei ha avuto questa strana forma di Covid intestinale, dovuto nel suo caso alla pepata di cozze, e mi ha dato la risposta più ovvia, la cura a tutti i mali: “Ma tu perché non ti bevi un bel rosolio prima di andare a dormire“.
L’alcol, il rimedio per tutto, cattiva digestione, dolori muscolari e soprattutto: non scordate di lavarvi le mani!
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