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*** ATTENZIONE SPOILER, ( piccoli ma diffusi ) ***
Ho finito la seconda stagione de La casa di carta.
In due serate.
E ho anche una vita, giuro. Una sveglia, un lavoro, un compagno.
Ma niente, non potevo prolungare oltre.
Così ho ordinato cibo a domicilio e ho passato la sera/notte a finire la stagione.
E ora posso dire quello che ho imparato.
1. Rapinare la Zecca di Stato non è semplice come sembrerebbe all’inizio della serie. Dunque devo trovare un altro piano per svoltare la mia vita. O almeno un Professore che la svolti al posto mio.
2. A tal proposito, il Professore somiglia inquietantemente a Juan, il mio compagno.
3. Io non somiglio all’ispettrice Murillo, non sono così tosta non sono così acuta nell’osservare.
Io, sono più come Oslo, dopo la botta in testa.
4. Berlino. Mi innamoro sempre di personaggi cattivi, ambigui, quanto meno sospetti.
5. I personaggi cattivi, ambigui, quanto meno sospetti, non fanno mai una bella fine.
6. Il matriarcato.
Nairobi è meravigliosa. Tutte le donne, in questa serie lo sono. Tutte le donne hanno un’identità ben raccontata e sfumata, il che non è scontato nelle narrazioni. Sono fragili ma molto molto forti. Rinascono. Cambiano. Decidono. Bene o male, ma decidono. Non dipendono. E questo si era già intuito nella prima stagione. Quello che ancora non era venuto fuori era il matriarcato. L’inizio ufficiale del matriarcato annunciato da Nairobi che forse, tra tutti i personaggi femminili è quello che ha meno scossoni, cioè meno colpi di scena che la riguardano, meno aspetti oscuri. È anche la più solidale con le altre donne, che siano ostaggi o complici. Insomma, Nairobi è il personaggio peggiore a cui dire una frase perentoria tipo “Questo è un patriarcato!”- come fa Berlino, a un certo punto.
E infatti, per tutta risposta, Nairobi gli spacca la testa e decide che no, il patriarcato è finito: “Adesso comincia il matriarcato.”
E se a questo punto ero in piedi sul divano a cantare Bella Ciao – canzone ricorrente della serie sin dalla scorsa stagione – mi sono dovuta subito sedere di nuovo: il matriarcato è durato una sola puntata. Ma va bene lo stesso. Va bene perché le donne crollano come gli uomini. Tutti, in questa serie come nella vita, sbagliano o crollano e falliscono.
7. La resistenza.
Infatti, alla fine non vince il maschilismo, non vince il matriarcato né la democrazia o il regime di terrore. Sempre e comunque vince la resistenza. In guerra, con se stessi, con le proprie idee e sogni. Anche l’ amore – altro punto chiave di questa storia – è una forma di resistenza, uno snodo che fa percorrere strade diverse e determinanti per tutti.
Sempre resistere, con lealtà. Ecco il perché di Bella Ciao e del coinvolgimento che si avverte con tutti i personaggi, “cattivi”,”buoni” che siano.
8. Il finale.
Il finale conferma la sensazione che ci siano delle piccole storture, delle virate sul trash che se in scene come Tokyo che praticamente vola con la moto, sono puro godimento, nel caso di macchinazioni narrative forse si potrebbe storcere il naso e pensare che siano un po’ superflue. Ma, appunto, si può resistere anzi, si deve, perché la narrazione lo merita. [:]
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