Da un paio d’anni faccio jogging regolarmente. Quasi ogni giorno.
Non so bene come sia iniziata la cosa. Ho sempre affermato con convinzione che tutto potrebbe accadere in questa vita tranne che io indossi degli abiti fluorescenti per andare a sudare in strada: troppa fatica.
Invece, come nei più scontati cliché, mi sono innamorata di quello che credevo di odiare.
Ho cominciato camminando, mi sono fatta venire la tendinite, mi sono rovinata i piedi per aver usato calze e scarpe sbagliate, sono caduta. Poi ho imparato, ho trovato il mio ritmo, gli abiti adatti a me e la mia piccola corsa quotidiana è diventata un rito necessario, un momento in cui tutto mi scivola addosso come durante una bella doccia, dopo una giornata faticosa. Non a caso vado quasi sempre la sera. Per circa 50 minuti, attraverso la strada e percorro i miei km come se stessi meditando.
I pensieri mi scorrono davanti con una chiarezza e una lucidità che da ferma non riesco a trovare. Si vede che sono in una fase della vita in cui non posso fermarmi, o forse sono sempre stata in questa fase e finalmente ho trovato il modo di assecondarmi.
Ogni tanto, insieme alla playlist da ascoltare in cuffia, cambio anche percorso. Magari scelgo quel vicolo invece dell’altro, passo lungo le mura invece che accanto alla scuola, una volta vado lungo il fiume, una volta resto nel parco e giro in tondo. Piccole cose che mi sono comunque necessarie per non rischiare di annoiarmi.
Così, ieri sera, proprio spinta dal desiderio di cambiare, ho deciso di fare jogging in centro e per farlo sono passata per Piazza dei Miracoli.
Ma per la prima volta il cambiamento non ha funzionato. Un disastro.
Uno dopo l’altro mi si sono parati davanti tutti i contro di quella scelta:
1. L’ho già vista. Piazza dei Miracoli l’ho già vista mille volte.
Come il vecchietto nel film Io speriamo che me la cavo che se ne sta seduto sul terrazzo vista mare ma fissa sempre il muro, perché tanto il mare “l’ho già visto”.
Ok, no, il mio caso è un po’ meno deprimente di così.
Io ho visto la Torre, per la prima volta, quasi 14 anni fa, il secondo giorno della mia vita da studentessa fuori sede. E da allora l’ho vista all’alba, al tramonto, a pranzo, ci ho passato interi pomeriggi, sdraiata sul prato, a studiare o a sonnecchiare, ci ho portato gli amici che mi venivano a trovare, ci ho litigato, l’ho fotografata, l’ho fissata, l’ho ignorata. Insomma, ci siamo frequentate tanto, adesso ho bisogno di vedere altro, “non sei tu ma sono io”, “ti lascio perché ti amo troppo”.
Con queste premesse, posso dire onestamente di non essere entrata in Piazza con gli occhi di chi vuole guardarla ancora ma con la fretta di chi è di passaggio per correre altrove, appunto. Purtroppo però, come una pivella, non ho calcolato bene i tempi e mi sono trovata letteralmente incastrata tra i turisti.
2. I turisti. Pisa è sempre piena di turisti. In alcuni periodi di più, in altri meno, ma bene o male ci sono sempre visitatori rilassati – soprattutto più rilassati di me – che girano per la città. E a me piace, eh: io li invidio. Sogno spesso di mischiarmi nei gruppi di giapponesi che seguono l’ombrellino della guida. Il problema è che tutte queste formichine che gironzolano felici in sandali e reflex a Piazza dei Miracoli si fermano, in blocco. Tutti con le mani alzate, in posa, col naso in su, forse per meditare sul valore artistico e storico dei monumenti o più probabilmente per studiare una posa ironica per un selfie con lo sfondo della Torre. Correre attraverso questi blocchi di persone è difficilissimo: si rischia di essere inghiottiti dall’onda di visitatori e ritrovarsi nel pulmino diretto a Okinawa.
3. Il nome: Piazza dei Miracoli. I miracoli mi agitano. Troppe aspettative. Una passa di lì e si aspetta che poi possa accadere l’impensabile. Tipo correre al doppio della velocità con la metà dello sforzo, tornare a casa e trovare, nell’ordine:
-un frullato preparato direttamente dal maggiordomo di Batman.
–Gordon Ramsey che sta cucinando e ha già rimodernato tinello e cucina, in pieno stile Hell’s Kitchen.
-le fatine de La bella addormentata che ti aspettano in camera e mentre tu schiacci un pisolino, ti donano le tre benedizioni: salute, soldi e una quarta di seno. Abbondante.
Ma il rischio che tutto ciò non accada è alto e io poi ci resto male.
4. È surreale. Ho sempre associato Piazza dei Miracoli al bianco e al silenzio. Sembra un paradosso, perché invece è sempre colma di colori e rumori, eppure mi sembra un luogo sospeso, irreale. Un non luogo.
Il resto della città è immerso in una particolare atmosfera che ho sempre immaginato color ocra, calda ma con qualcosa di malinconico, piena di studenti, romantica e pure un po’ ubriaca. Piazza dei Miracoli invece è lì, tutta raccolta, con i monumenti ordinati e la Torre storta, piena di gente che fa le stesse cose, come un’unica creatura intenta a fotografare e guardare nella stessa direzione. Tutto talmente identico da sparire, tutto talmente chiassoso da uniformarsi in un unico suono che si annulla. Devi essere pronta, devi aver voglia di bianco e sospensione, altrimenti rischi di sparire pure tu.
E io ieri sera non ero pronta a questo.
5. Ci sono i militari. Non sono guardie, appunto: sono militari armati.
E correre accanto a uno col mitra mi intristisce. Punto. Ogni volta che mi è capitato, non sono riuscita a scollare lo sguardo dall’arma perché mi turba e correre senza guardare dritti davanti a sé è sconsigliabile: si rischia, ad esempio, di non notare le fioriere antisfondamento.
6. Le fioriere antisfondamento. Non sono fioriere ma muretti in cemento, piazzati in modo strategico, per contrastare eventuali auto di terroristi che potrebbero gettarsi all’impazzata sulle persone.
Devo girarci intorno, devo stare attenta, farci caso, perché se guardo altrove o mi distraggo con la musica nelle cuffie, rischio di non vederle e di rompermi le gambe in due pezzi netti.
Scomodo.
Tra tutti, i punti 5 e 6 sono i particolari lampanti che non possono passare inosservati.
Prima non c’erano, adesso sì. Prima, passando di qui, correndo, avrei trovato lo stesso scenario, identico e sempre surreale, ma senza l’aggiunta di questi due particolari che sembrano un promemoria inquietante: altrove è già successo, potrebbe succedere anche qui, non siete al sicuro. Non siamo al sicuro.
Il non luogo adesso sembra essere anche il non senso della sospensione di una Piazza e di un’intera società.
Correre con la presenza di questi due particolari è come fumare guardando tutto il tempo le immagini sul pacchetto, con la tipa che sputa sangue.
È come mangiare un bel panino unto guardando il dottor Nowzardan, quello del programma sulla gente che deve dimagrire.
È come addormentarsi contando le cose che potrebbero ucciderti nel sonno.
Significa che una cosa piacevole e rilassante come fare jogging con la musica nella mia città, diventa una cosa, sotto sotto, anche un po’ triste.
È come se la felicità fosse diventata inseparabile dalla malinconia, dall’inquietudine.
Ma forse sbaglio io, forse il vero miracolo è continuare a fare jogging dove ci pare, senza soccombere alla malinconia, magari imparando a saltare le fioriere e le brutture come nella corsa ad ostacoli.
Così, se proprio dobbiamo continuare a non sentirci al sicuro, almeno lo faremo con i muscoli tonici.
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