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HOLLYWOOD – I love you

“Cosa succederebbe se…”

Erano i titoli dei temi che ci dava la maestra alle elementari.

E Hollywood , la nuova  serie di Netflix è uno svolgimento da 100 con lode.

E bacio accademico da un presidente di Commissione bellissimo, aitantissimo e totalmente gay!

Ma andiamo con ordine.

Onestamente: chi non ama Hollywood?

Chi non impazzisce davanti ad un “oh giusto cielo, sono stata una sconsiderata” detto con dizione perfetta e dorso della mano portato alla fronte?

Ma Hollywood   non è questo, mi spiace.

Parla dell’età d’oro del cinema, del secondo dopoguerra. L’orrore è finito, c’è voglia di cose belle e nuove. E quindi ecco attori e attrici moderni, giovani e bellissimi. Con le vecchie star dai denti perfetti che sgomitano per avere ancora una parte da mamma o nonna dei nuovi divi con denti ancora più perfetti. Il tutto in una società allegramente ipocrita e razzista che oggi per fortuna non esiste più (N.d.R.: come non detto).

La trama? Le vicende di un gruppo di aspiranti attori, registi, sceneggiatori, con passati e provenienze diversi ma con un un’unica ambizione: sfondare.

Banale, vero? Certo! Per il primo quarto d’ora.

Perchè, da subito, le storie prendono a intrecciarsi in un rutilante mondo di colori, sorrisi, vestiti svolazzanti, auto lucide, musichette allegre e gay.

Tanti gay.

Tantissimi gay.

Un fantastilione di gay.

Conclamati, nascosti, virili, effeminati, borghesi, alti, bassi, medi. Gay. Gay ovunque,

Nella visione di  Ryan Murphy (quello di Nip/Tuck, Glee, American Horror Story, 911 e The Politician: un genio che Netflix si è aggiudicata per 300 milioni di dollari ), ad Hollywood in quegli anni erano tutti gay o volevano esserlo. Questo cambia le cose? Eccome!

E, questa, è la vera rivoluzione di questa serie.

La prima ucronìa gay della tv, forse della Storia.

Un “cosa succederebbe se…” che porta prima in evidenza le ingiustizie e i pregiudizi legati alla razza, alla sessualità, al sessismo che si nascondevano in ogni piega della società.

E poi li azzera, cambiando qualche “piccolo” dettaglio nella Storia reale.

In due parole.

Il giovane e bellissimo Jack Castello, reduce dalla seconda guerra mondiale (N.d.R: non la gita scolastica, LA. SECONDA. GUERRA. MONDIALE, per dirti il tipo) torna in Patria armato di grande entusiasmo e fiducia, certo che verrà ingaggiato per le più grandi produzioni da ogni Studio.

Ovviamente la realtà non va così, un figlio in arrivo e le responsabilità lo portano ad accettare un lavoro nel mondo del sesso (che è ancora più redditizio del mondo del cinema).

Diventa gigolò nel distributore di benzina più famoso della città, gestito dall’adorabile Ernie e frequentato da tutte e soprattutto “tutti” coloro che desiderano un po’ di compagnia senza doversi nascondere o giustificare.

“Voglio andare a Dreamland”.

Basta questa keyword per entrare in un mondo perfetto.

In questa cornice farà amicizia con Archie, sceneggiatore dotato di grande talento, ma dal colore sbagliato, ed altri prestanti giovanotti che non ti spoilero.

Poi si parla di attori famosi (e realmente esistiti), agenti senza morale (idem) , mogli di produttori stanche e annoiate (idem) , figlie di produttori che vogliono fare le attrici, produttori maiali e maschilisti (realmente esistiti e ancora esistenti), cinema, musiche, sceneggiature.

E, a cappello di tutto il racconto, la vera storia di Peg Entwistle, giovane attrice britannica morta suicida nel 1932, che si gettò dalla famigerata scritta Hollywoodland, che il nostro Archie riscriverà in chiave Black Lives Matter, cambiando il corso della storia.

Tutti i personaggi ti stupiranno, non ci sono stereotipi.

Anzi sì, ci sono: sono tutti stereotipi ma così stereotipati da evolvere poi in persone vere. E no, questo non è così banale.

Un viaggio in un mondo delizioso e impossibile; un what if  geniale che ci mostra come, se una coppia di uomini avesse avuto il coraggio di sfidare le ipocrisie 70 anni fa, oggi il mondo sarebbe diverso, più sereno e, forse, con meno sovranisti.

Un mondo in cui colori, gusti sessuali e genere non sono una discriminante. Esattamente come ora in America (n.d.r. ah già).

 

 

 

 

Vanna Greggio

Sono certa che diventerò una vecchia stronza rubamariti, pettegola e alcolista. Ci sto lavorando da anni.

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Vanna Greggio

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