Trovare l’amore non è mai stato più difficile.
Uno si aspetta che ai tempi di Google basti inserire “bello e intelligente” nella barra di ricerca, oppure implorare Siri di scandagliare col radar il quartiere fino a localizzare un manzo che vada oltre la tabellina del tre, e invece no.
Dice il proverbio cinese: se è bello è scemo, se è bello e intelligente ha una grave psicosi, se è bello, intelligente e sano di mente o è gay o è un essere leggendario. Nel senso che non esiste.
Ma prima che arrivassero i cinesi con la loro saggezza (e i viblatoli a un eulo) mi ci sono rotta lungamente la testa. Voglio dire: sono giovane, sexy, intelligente e divertente. Allora perché la mia vita è costellata di casi umani? Cosa sto sbagliando? Forse non cerco abbastanza? Non nei posti giusti?
Così mi sono armata di attitudine scientifica e ho condotto un esperimento a tappeto, senza esclusione di colpi (la maggior parte dei quali purtroppo sono arrivati a me, e in piena faccia), esplorando ogni habitat di questi curiosi animali metropolitani: gli uomini.
Non c’è un posto come la palestra per incontrare l’anima gemella. Almeno così si dice. Certo se uno non si fa intimidire né dai fiumi di sudore né dalle macchie sulle maglie né dai lamenti esalati sul tapis roulant, significa che vi troverà attraenti anche in pigiama cogli orsi, la febbre a quaranta e la maschera di cavolo in faccia.
Una specie di darwinismo dei sentimenti.
Non ho mai frequentato una palestra e aggancio subito il personal trainer, Marcaurelio. Marcaurelio mi dà uno sguardo che vale più di mille parole (e non nel senso che è un disegno) e dice: mettiamoci al lavoro.
Dopo di che compila la mia scheda con termini impossibili, criss cross (che sono, patatine?), renegade row (questa suona male), crunch (qui sono sicura che si parli di merendine), squat press, power squat, sumo squat.
Credevo di fare ginnastica e invece è un corso di inglese.
Ma devo farli tutti?, chiedo.
Devi farli a circuito, mi sussurra Marcaurelio languido. Cioè a ripetizione per sette minuti, poi tre minuti di corsa, poi di nuovo a ripetizione, poi tre minuti di corsa, poi di nuovo…
Cosa non si fa per un po’ di fava. Faccio del mio meglio per stare nei tempi previsti, ma a un certo punto saltando la corda inciampo e cado rovinosamente sugli step impilati. Che cadono sui pesi. Che cadono sulle kettlebell. Che rotolano sui piedi di uno intento a sollevare centottanta kg e che li molla con un bestemmione udito fin da San Pietro lassù.
L’effetto domino è notevole, ma non credo sia il caso di mettere più piede in palestra. Inoltre la domanda che mi è stata più rivolta dall’altro sesso non è “Come ti chiami?” ma “Come riesci a mantenere quell’indice ottimale di massa magra?”
Forse è un complimento, non lo sapremo mai.
Stanca delle interazioni umane (e dovendo anche nascondermi dalla gente di quartiere dopo l’incidente in palestra) decido di lanciarmi con le app di incontri.
Tinder è la mia prima scelta. Su Tinder sono tutti bellissimi, salvo quando li incontri e scopri che non è così. Il problema è che sono anche noiosissimi.
Uno mi dice: Ciao!, e quando io rispondo: Ciao!, mi chiede direttamente se voglio venire a casa sua. Ma specifica: solo se non sono una di quelle ragazze che parlano di borse e scarpe.
Gli rispondo che purtroppo parlo unicamente di quello, ho una malattia, tipo la sindrome di Tourette però con le borse. E le scarpe. Non so stare due minuti senza gridare: Gucci! Manolo Blahnik! Loboutin!
Dopo di che lo cancello.
Un altro mi propone: hai voglia di fare un gioco?
Sarà Risiko, o saranno le cinquanta sfumature di grigio? Decido di rischiare.
Il gioco è il seguente: prima vado a letto con lui, poi vado a letto con un suo amico, poi con lui e il suo amico. Altro che Risiko e cinquanta sfumature: queste sono le gemelline di Shining.
Rispondo con un’altra domanda: cosa siete, fratelli, gemelli, amanti, testimoni di Geova, fate parte di una setta?
Silenzio radio. Mi cancellano subito dopo.
Finalmente ne becco uno quasi umano. Ci esco. Che lavoro fai?, chiedo ingenuamente.
Scopro così che è uno dei social manager di Salvini.
Dopo questo clamoroso autogoal, passo a un’altra app: InnerCircle. O meglio passerei, perché cerco di scaricarla ma mi confondo e scarico al suo posto InnerHour, applicazione che serve a monitorare i sintomi della depressione.
In effetti è molto più utile di InnerCircle, specie quando ricevo da un’amica la notizia che il mio ex è su quel sito di incontri e ci sta provando con lei, benché (o forse proprio perché) sappia benissimo che lei è una mia cara amica.
Appuriamo così che le app di incontri hanno anche effetto retroattivo: non solo creano relazioni di merda, ma riescono a rovinare pure quelle passate.
Stufa marcia degli incontri virtuali, decido di buttarmi nel buon vecchio abbordaggio da strada.
Grazie al cielo abito proprio nel quartiere della movida, il che semplifica di molto l’esperimento: non devo far altro che uscire di casa per trovarmi catapultata in un oceano di fanciulli dalle fattezze più o meno gradevoli, oltre che dal notevole tasso etilico. Per non lasciarmi prendere dallo sconforto, scarico sei diverse app di ipnosi in grado di convincermi che là fuori troverò l’anima gemella.
Forse funzionano, perché nel primo bar vengo rimorchiata da un tale, capelli lunghi e look da motociclista, ma ovviamente senza moto (l’apparenza inganna).
Charlie, così sostiene di chiamarsi, mi parla a lungo. Della sua vita, del suo lavoro, della sua ex fidanzata con cui è stato sei anni, della ex fidanzata che è venuta dopo e con cui è stato altri sei anni, della sua ex moglie con cui ha un figlioletto in Belgio.
Quanti anni ha il bambino?, chiedo.
Sei.
O è un fanatico delle tabelline, o ha trovato un modo davvero originale di incarnare the number of the beast.
Giacomo invece è un fotografo, mi dà ragione tutta la serata e il barman, suo amico, insiste nel dire che è cotto di me. Lo ribadisce anche le tre sere successive. La quarta invece mi dice che si è sbagliato, Giacomo è in fissa per un’altra ma “con te una chiavata se la sarebbe fatta”.
Che bello.
Decido di cambiare bar quando mi imbatto in un tale interessante. Anzitutto sembra avere un lavoro, il che per i miei standard è una bella novità. Inoltre è seduto accanto a un banchetto di lampade davvero graziose, quindi mi sarei fermata comunque.
Ezechiele – non si chiama davvero così – non è il venditore di lampade, sta solo mangiando un panino prima di ritornare al lavoro in bici.
Carino ed ecologista, dice il mio cervello influenzato dalle sedute di ipnosi.
Oppure è un senzatetto, ribatte la mia mente critica, reduce da tanti fallimenti. O un corriere della droga. O un ex ciclista che non ha passato l’antidoping. Insomma, potrebbe essere chiunque: non lo conosco affatto.
È questo il problema: nei primi cinque minuti di conversazione, casi umani e persone normali si somigliano terribilmente. Come risolvere l’impasse?
Accetto di dargli il numero, a patto che mi scriva qualcosa di sé. Così avrò modo di capire prima se il suo prossimo traguardo è una promozione sul lavoro o un TSO.
Nei giorni seguenti ricevo un unico messaggio, reiterato più volte:
“Caffè?”
“Caffè?”
“Caffè?”
E buongiornissimo no?
Mi arrendo. È evidente che, passati i venticinque, tutti quelli buoni sono già stati presi e in giro restano solo le mine vaganti. O si punta alla gioventù estrema, o si aspetta il primo giro di boa dei divorzi.
Altrimenti dai cinesi i vibratori sono ancora in offerta.
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