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C’era un tempo in cui, se avevi per le mani qualcosa e una mezza intenzione di buttarla via, la scelta consisteva sostanzialmente in:
– “Lo butto”
– “Non lo butto”.
Era l’anno zero della differenziazione: se invece che per strada lo gettavi nel secchio, eri in regola con il tuo senso civico.
Adesso, invece, ogni volta che devi buttare via qualcosa devi prima effettuare un’analisi sprettrografica per definirne la composizione e decidere dove metterlo.
Lo “Zodiaco della Monnezza” è diviso in quattro elementi fondamentali: vetro, plastica, carta, umido. Ma chi l’ha pensato non deve aver tenuto conto dell’ascendente, perché purtroppo la maggior parte di quello che butti non è facilmente identificabile in una di queste quattro categorie.
La mia famiglia ha due elementi umani (mio marito e me) e tre micro cani e lo ammettiamo: produciamo davvero tanta roba da buttare. Così tanta che a volte penso che in casa ci vivano anche altre persone che non abbiamo ancora incontrato. Ma il problema fondamentale non è tanto la quantità, ma la “definizione” di quello che gettiamo via.
Il nostro comune ha avviato un percorso sperimentale e consente, oltre alle quattro categorie sopra citate, solo un altro misero sacchettuzzo di “materiale non riciclabile”. Ogni tre giorni. Stop. Se hai altro, cazzi tuoi.
Nella prima fase, quando ancora non volevamo piegarci a questa imposizione, giravamo con sacchi dell’immondizia nel bagagliaio in cerca di un cassonetto dove gettarli. Nessuno usciva più di casa senza un sacchetto dell’immondizia in mano. Un giorno mio marito non è riuscito a trovare un cassonetto durante il percorso casa-ufficio e la sera lo ha riportato a casa. Così abbiamo ceduto alla differenziazione.
Il condizionamento è tale che inizia al supermercato quando facciamo la spesa:
«Che cosa stai comprando?!!!»
«Un pacco di Natale…»
«Lo devi regalare, vero?!!!»
«No, è per noi….»
«Ma sei matto?!!!… Guarda tutta quella paglia finta?… Dove la buttiamo?!!!».
L’abbiamo acquistato, ma scartato nel parcheggio e lasciato tutto il materiale del confezionamento nel secchio del supermercato.
Uno yogurt scaduto. Dove lo butti?… E’ plastica più lamina di metallo e con dentro dell’umido. Quindi dovresti: aprirlo, levare la linguetta, lavarla e gettarla da una parte. Poi con il cucchiaino versare il contenuto nell’umido, lavare il bicchierino di plastica e gettarlo nell’apposita sezione. Se è scaduto da meno di un mese noi lo mangiamo: si fa prima.
Il sacchetto del pane? Avete presente quello che ha una parte in mezzo trasparente? Lo devi aprire, gettare le briciole nell’umido, separarlo, la parte di plastica da una parte e quella di carta dall’altra.
Insomma, una vita d’inferno.
Finché un giorno, un episodio cambiò la nostra vita.
La cucciola stava imparando a sporcare sul giornale. Che è di carta. Ma in questo caso non è solo carta… C’è anche la poooop del cane. Riunione di famiglia e decisione da ecoterroristi: “Buttiamo tutto ugualmente nella carta”. Beh… L’hanno portata via! Rivelandoci che “Se somiglia a carta è carta”!
La rivoluzione copernicana! Così, adesso, ogni volta che abbiamo qualcosa da buttare, e non ne riusciamo a identificare la destinazione, lo impacchettiamo nella carta da giornale!
I vicini delle altre case ingenuamente gettano via i loro giornali e noi, nottetempo, andiamo a recuperarli dai loro secchi. Sciuponi! Li gettano via così, senza incartarci nulla!
Noi invece abbiamo fatto l’abbonamento annuale a tre quotidiani. Nessuno li legge ma per incartarci l’immondizia sono vitali! Perché noi produciamo tanta immondizia e la carta non ci basta mai…[:it]
C’era un tempo in cui, se avevi per le mani qualcosa e una mezza intenzione di buttarla via, la scelta consisteva sostanzialmente in:
– “Lo butto”
– “Non lo butto”.
Era l’anno zero della differenziazione: se invece che per strada lo gettavi nel secchio, eri in regola con il tuo senso civico.
Adesso, invece, ogni volta che devi buttare via qualcosa devi prima effettuare un’analisi sprettrografica per definirne la composizione e decidere dove metterlo.
Lo “Zodiaco della Monnezza” è diviso in quattro elementi fondamentali: vetro, plastica, carta, umido. Ma chi l’ha pensato non deve aver tenuto conto dell’ascendente, perché purtroppo la maggior parte di quello che butti non è facilmente identificabile in una di queste quattro categorie.
La mia famiglia ha due elementi umani (mio marito e me) e tre micro cani e lo ammettiamo: produciamo davvero tanta roba da buttare. Così tanta che a volte penso che in casa ci vivano anche altre persone che non abbiamo ancora incontrato. Ma il problema fondamentale non è tanto la quantità, ma la “definizione” di quello che gettiamo via.
Il nostro comune ha avviato un percorso sperimentale e consente, oltre alle quattro categorie sopra citate, solo un altro misero sacchettuzzo di “materiale non riciclabile”. Ogni tre giorni. Stop. Se hai altro, cazzi tuoi.
Nella prima fase, quando ancora non volevamo piegarci a questa imposizione, giravamo con sacchi dell’immondizia nel bagagliaio in cerca di un cassonetto dove gettarli. Nessuno usciva più di casa senza un sacchetto dell’immondizia in mano. Un giorno mio marito non è riuscito a trovare un cassonetto durante il percorso casa-ufficio e la sera lo ha riportato a casa. Così abbiamo ceduto alla differenziazione.
Il condizionamento è tale che inizia al supermercato quando facciamo la spesa:
«Che cosa stai comprando?»
«Un pacco di Natale…»
«Lo devi regalare, vero?»
«No, è per noi….»
«Ma sei matto?!!! Guarda tutta quella paglia finta? Dove la buttiamo?!!!».
L’abbiamo acquistato, ma scartato nel parcheggio e lasciato tutto il materiale del confezionamento nel secchio del supermercato.
Uno yogurt scaduto. Dove lo butti? È plastica, più lamina di metallo e con dell’umido all’interno. Quindi dovresti: aprirlo, levare la linguetta, lavarla e gettarla da una parte. Poi con il cucchiaino versare il contenuto nell’umido, lavare il bicchierino di plastica e gettarlo nell’apposita sezione. Se è scaduto da meno di un mese, noi lo mangiamo: si fa prima.
Il sacchetto del pane? Avete presente quello che ha una parte in mezzo trasparente? Lo devi aprire, gettare le briciole nell’umido, separarlo, la parte di plastica da una parte e quella di carta dall’altra.
Insomma, una vita d’inferno.
Finché un giorno, un episodio cambiò la nostra vita.
La cucciola stava imparando a sporcare sul giornale. Che è di carta. Ma in questo caso non è solo carta… c’è anche la poooop del cane. Riunione di famiglia e decisione da ecoterroristi: “Buttiamo tutto ugualmente nella carta”. Beh, l’hanno portata via! Rivelandoci che “Se somiglia a carta, è carta”!
La rivoluzione copernicana! Così, adesso, ogni volta che abbiamo qualcosa da buttare, e non ne riusciamo a identificare la destinazione, lo impacchettiamo nella carta da giornale!
I vicini delle altre case ingenuamente gettano via i loro giornali e noi, nottetempo, andiamo a recuperarli dai loro secchi. Sciuponi! Li gettano via così, senza incartarci nulla!
Noi invece abbiamo fatto l’abbonamento annuale a tre quotidiani. Nessuno li legge ma per incartarci l’immondizia sono vitali! Perché noi produciamo tanta immondizia e la carta non ci basta mai…[:]
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