Lo ammetto, sono una persona semplice, di design e arte ci capisco poco o niente. Specialmente di quelli contemporanei, un po’ concettuali, ecco, li io mi impantano.
Dico questo, ancora di più, al termine della settimana dell’Arte Contemporanea a Torino. Qui tra Artissima, Paratissima, The Others ne abbiamo avuto per tutti i gusti. E io non mi sono sottratta alle visite. Ma davanti all’arte contemporanea io resto sempre così, un po’ basita, con lo sguardo di mia figlia davanti al mio “dov’è finito l’astuccio con le Frixion nuove?”.
Non la capisco, leggo le targhette, guardo, riguardo. Cerco di darmi un’aria, un tono, la faccia di quella che ne sa e passo all’opera successiva dove ricomincio tutto da capo. Io potrei tranquillamente essere una di quelle che stanno tre ore ferme davanti a un estintore, convinte che sia un’opera concettual-strutturale di un qualche artista scandinavo. E invece è soltanto un estintore.
Credo, fondamentalmente, di essere vittima della malattia “Il mio falegname te lo farebbe per 30 euro e pure con le unghie” (chi non riconosce la citazione, dietro la lavagna). Forse perchè in effetti sono figlia e nipote di due falegnami e quindi ho un po’ questa forma mentis.
Insomma, io proprio non mi ci raccapezzo. E non parlo solo di arte. No, parlo di design a 360°. Ci pensavo stamattina al bar, mentre facevo colazione e tentavo di alzare la tazza del cappuccino. Nel manico un forellino microscopico, troppo stretto per far passare un dito, impossibile da afferrare. Perchè? Che male ci hanno fatto le vecchie tazzine da caffè o tazze da cappuccino? Perchè chiudere quel buco? Perchè impedirci di afferrarle saldamente mentre di corsa, prima di andare in ufficio, ci beviamo il nostra caffè? Chi c’è dietro questa pensata? Che brutti sogni deve aver fatto uno che una mattina si sveglia e decide di dar nuova forma al manico delle tazzine?
A queste domande io non darò mai una spiegazione.
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