teenager
“Gli anni d’oro del Grande Real. Gli anni di Happy Days e di Ralph Malph. Gli anni delle immense compagnie. Gli anni in motorino sempre in due”.
Alzi la mano chi, tra i nati negli anni Ottanta, non ha mai cantato a squarciagola “Gli anni”, mitica canzone degli 883, ascoltata a loop nel walkman, scassato per aver preso più colpi della pentolaccia, nello zaino di scuola sbatacchiato con noncuranza. Un momento amarcord che porta con sé una scia di ricordi, memorie, interrogativi. Su tutti? Che minchia di fine ha fatto Mauro Repetto? Max Pezzali porta davvero sfiga o è solo interista? Ma soprattutto, cos’è cambiato da allora – i mitici anni Novanta – ad oggi? Praticamente tutto, mi sento di rispondere. In particolare sul versante femminile. Vediamo qualche esempio.
LA MODA
Le teenagers di oggi non sono nemmeno lontane parenti di quelle che eravamo noi vent’anni fa. Oggi le ragazze seguono i consigli di ClioMakeUp, portano leggings così attillati che sembrano mute da sub, vanno in giro con la pancia scoperta anche se fuori ci sono 2 gradi.
A 12 anni hanno le unghie rifatte e i ragazzi maggiorenni che le incontrano la sera in discoteca rischian la galera perché quelle che sembrano coetanee in realtà hanno appena preso il patentino per lo scooter.
Negli anni Novanta, la divisa ufficiale di noi adolescenti era: tuta gigantesca dell’Arena (o dell’Asics) con le bande laterali fosforescenti e così sintetica da dover stare lontani da fonti di calore per non rischiare l’autocombustione; bomber o Barbour (spesso taroccato), Stan Smith e felpa rigorosamente legata in vita causa complesso adolescenziale da culo grosso.
Se ci avessero chiesto cosa fossero eyeliner e blush avremmo pensato a malattie veneree esotiche.
Però usavamo i lucidalabbra alla frutta, quelli che sapevano di detersivo per piatti e che sigillavano la bocca come il bostik.
LA MUSICA
Gli Oasis, i Blur e i Take That. Ma anche i Nirvana, gli Smashing Pumpkins, il punkrock dei Greenday, le compilation di Hit Mania Dance.
La musica degli anni ’90 esprimeva il disagio di una generazione, quella grunge, che trasmetteva malessere e voglia di spaccare tutto con una mazza da baseball. Ma anche voglia di ripartire, di tornare a sognare, di esprimere se stessi al di là dei camicioni di flanella che avrebbero fatto sembrare sciatta pure Gisele Bundchen.
Oggi i ragazzi ascoltano rapper dai nomi tutti uguali, che inneggiano alla ribellione sociale per poi fidanzarsi con le “socialite” o “influencer” (o come si chiamano le tizie che postano su Instagram il loro look giornaliero con la bocca a culo di gallina). Però mostrando i tatuaggi.
IL CALCIO
Il mio idolo è sempre stato Filippo Inzaghi. Ho convissuto per anni con i suoi poster appesi alla porta della cameretta e le sue foto a tappezzare la Smemoranda. A 16 anni me lo sono pure trovato di fronte mentre lasciava l’albergo in cui alloggiava con la sua squadra per dirigersi allo stadio, e sembravo una di quelle pazze invasate che piangono ai concerti di Justin Beaber.
Inzaghi, come Del Piero, Baggio, Maldini, Totti, Nesta e Cannavaro, sono forse i simboli dell’ultima era di un calcio fatto di cuore e passione, di “bandiere”, di un mondo in cui non esistevano (o stavano nascendo allora) le paytv, e il calcio era fatto di partite alla domenica e sfottò il lunedì mattina con i compagni di scuola.
Oggi le bandiere non esistono più e i giocatori (per lo meno, la maggioranza) sono fighetti che giocano a chi ha la pettinatura più idiota, il tatuaggio più evidente, la donna più figa e il procuratore più stronzo.
L’unica consolazione é andare su YouTube e riguardare le interviste di Trapattoni.
GLI AMICI
Negli anni Novanta c’erano le cosiddette “compagnie”: in pratica, gruppi di adolescenti con un’esplosione di brufoli e gli ormoni imbizzarriti come Furia che passavano il tempo a chiacchierare seduti sugli scooter, poi si alzavano per mille “vasche” in caruggio (in dialetto genovese, la strada principale del centro storico cittadino), poi tornavano allo scooter.
Spesso non si faceva nulla, ma lo si faceva assieme. Oggi capita di vedere in giro gruppetti di adolescenti, ma mai più di tre o quattro, che camminano a fianco guardando ognuno il suo smartphone e chattando tra di loro.
Certo, lo smartphone è una figata e ai tempi del Nokia 3310 che andava a pedali, non avremmo mai immaginato che un giorno potesse esistere qualcosa di simile.
Ma volete mettere con l’ebbrezza di fare scherzi telefonici dalla vecchia cabina a gettoni?[:]
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