Sono trascorsi due anni esatti da quando nel bar, alle tre del pomeriggio, mi hai guardata e mi hai sorriso. Io ho pensato “Wow, che figo pazzesco!”. E ti ho sorriso. Ti sei avvicinato, bello, elegantissimo, maschio, completo antracite, rughe curate su viso molto abbronzato. Mi hai stretto confidenzialmente la spalla – cosa che lascio fare a pochissime persone tuttora viventi e molto selezionate – e, senza staccare gli occhi dai miei, mi hai chiesto: «Come sta ‘Il Marco’?». Ovviamente, mio marito.
Ho replicato: «Sta bene, è sempre molto impegnato, tra i figli e il lavoro».
E tu mi hai detto: «Mi raccomando, salutalo tanto da parte mia!».
Poi mi hai chiesto altro, sui nostri figli, i genitori, il lavoro. E io, come ipnotizzata, ho risposto a tutte le tue domande sorseggiando il mio caffè.
Poi, all’improvviso, come se fosse scoccata la mezzanotte, ci siamo salutati, a malincuore, chiamati dai nostri rispettivi impegni.
Tu mi hai pagato il caffè e sei uscito dal bar per primo, sei salito sul tuo suv nero e sei sparito.
E io sono due anni che mi chiedo chi cazzo eri.
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