bambini,vacanza
Un giorno ti svegli e ti ritrovi per casa degli sconosciuti.
Fino a ieri erano bambini con pannolone, che gattonavano sbavando dappertutto, che si appropinquavano al tavolo appena apparecchiato e al grido di “banzaiiii!!!” tiravano giù tutti i pezzi del servizio buono e ci passavano sopra con il biberon in mano, a mo’ di falce, finché tutto veniva tritato, che pronunciavano sillabe a caso deliziandoci come se stessero declamando il nono canto dell’Inferno di Dante, che passavano da un sorriso tutto gengiva, al pianto più disumano, senza passare dal via… Insomma, bambini: categoria amata/”odiata” dai più, a seconda che ci si trovi ad essere genitori o vicini di casa.
Le mie figlie sono ormai alla fase successiva: quella in cui non le riconosci più o, se proprio devi, fingi di non sapere da quale parte della famiglia hanno preso quei lati insopportabili del loro carattere (anche se ci sono almeno una ventina di foto compromettenti, con me ragazzina come protagonista, che possono senz’altro testimoniare che il sangue non è acqua).
Il momento in cui, generalmente, si scatena l’inferno è la fine della scuola. Stanchi i bambini, stanchi i genitori. Nessuna attività in programma, il centro estivo non ancora iniziato, le cartelle abbandonate in un angolo con dentro ancora i rimasugli degli ultimi giorni (in termini di briciole di merende, coriandoli di carnevale, fazzolettini sporchi appallottolati, temperatura di matite, gomme smangiucchiate, …), le scrivanie ingombre. Insomma, un delirio! Provo a proporre delle attività di interesse generale, del tipo “riordinare i vostri libri per ordine di altezza o di materia”, ma vengo per lo più ignorata. Passo a inventare giochi altamente competitivi e decisamente avventurosi, come “vediamo chi riesce per prima a salire sull’armadio”, allo scopo di recuperare la ciabatta che, a Novembre, era stata lanciata in cima all’armadio ed è diventata il nido di ogni specie di ospite sgradito a sei zampe (scarafaggi in primis). Ma anche qui non vedo segni di interesse.
Se ne stanno a bivaccare sul tappeto, in camera loro, sfogliando distrattamente un album da disegno (vuoto!), mangiucchiando il retro di una matita, osservando dalla finestra il passaggio delle nuvole nel cielo.
A me, sinceramente, che passino anche le prime giornate di vacanza immerse in un dolce far nulla, potrebbe anche andare bene. Il fatto è che, al secondo giorno di ozio acuto, le due pestifere mi rivolgono uno sguardo disperato.
La noia è arrivata come una bufera.
È entrata nelle loro giovani menti e si è appropriata di ogni idea che i loro cervelli sempre attivi stavano partorendo. E qui, una madre attenta e premurosa come me, dovrebbe intervenire. “Dai, ragazze, andiamo al parco!”, oppure “Vi va di andare a prendere un gelato in centro?”.
Potessi offrire loro anche solo questi due semplici svaghi, sarei a posto. Purtroppo non ho nulla del genere tra le mani. Io sono ancora impegnata al lavoro e il mio tempo libero si aggira tra lo zero e lo zero meno.
È qui che scatta la fase “No te preocupe, ci arrangiamo”.
Me ne accorgo un pomeriggio in cui, dalla mia scrivania in sala, china sulle sudate carte che dovevo consegnare circa un mese fa, non percepisco nessun rumore. Non s’ode un fiato. Nulla. Con l’ansia che monta a mille (“oddio, vuoi vedere che sono salite sull’armadio da sole e gli scarafaggi se le sono mangiate in un boccone?”), mi avvicino alla porta della loro camera. Sbircio dalla fessura e ciò che vedo mi commuove.
Le due pulzelle sono distese sul tappeto, una di fronte all’altra e stanno giocando a scacchi. Faccine convinte, pedine sulla scacchiera ben posizionate, mi si è riempito il cuore di orgoglio materno. “Wow”, ho pensato, “Che gioco impegnativo! Come sono intelligenti!”.
Sono tornata al lavoro, con il cuore pieno di orgoglio materno, e mi sono messa a riordinare la mia scrivania che, tra l’altro, ha restituito alla luce reperti del ’15-’18, mentre mi assaliva un filo di preoccupazione: troppa serietà. Che fine avevano fatto le mie sciocchine con la testa piena di fatine-folletti-principesse?
Il dilemma è stato sciolto circa mezz’ora dopo quando la più grande, l’undicenne con velleità da unicorno, arriva tutta compita, mi mostra due pedine e mi chiede: “Mamma, ma quale dei due è il re e quale la regina?”.
“Boh?!”, rispondo io con nonchalance. “Probabilmente il re è quello con lo scettro e il mantello foderato di ermellino”. Sorriso a 32 denti, meno 4.
Svelato l’arcano, i quattro pianeti che compongono il mio universo tornano a riallinearsi. Posso tornare al mio lavoro. Ma l’ho scampata bella, eh!!!
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