Invidio quando andate in bagno e siete fuori casa.

Vi invidio accettare lo stimolo, inforcare un qualsiasi bagno pubblico e liberarvi di tutto.

Vi invidio perché io ho allenato il corpo nell’arte dell’attesa, del portare pazienza, del trattenere, perché farla in giro è per gli audaci, per i circensi.

I bagni pubblici sono un mondo che va studiato nei minimi particolari.

Ci entro, ma non mi muovo.
Ci entro, mi muovo, ma mi devo arrampicare.
Ci entro, mi muovo, non mi devo arrampicare, mi devo appoggiare e sedere, ma è sporco da fare schifo e ho paura di trovare, fuori dalla porta, una sala di decontaminazione.

Che poi il grande problema è che nessuno te lo racconta com’è davvero, dagli hotel ai bar le sorprese sono dello stesso colore di ciò che scende con lo sciacquone.

Si lascia tutto al caso, dal water alle informazioni, non c’è differenza.

Così trattengo liquidi e non solo, fingo indifferenza, alla fine piango dal dolore.

Poi ci sono anche i bagni che sono talmente evoluti che sembrano l’enterprise, asettici, tutti automatizzati, domotici anche nello stimolarci, comodi come salotti, peccato che sul più bello, le luci temporizzate si spengono e ti ritrovi ad improvvisare una simil macarena a mutande calate per ritrovare la luce in fondo al tunnel.
Dell’uscita.

Ok la porto a casa.

 

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