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Ad ognuno le sue paure

Quando ero molto piccola, non ero per nulla fifona. Scendevo in cantina senza accendere la luce, non credevo ai fantasmi né agli orchi, prendevo in mano lucertole e ragni. Col passare degli anni però le mie paure si sono moltiplicate come gli enzimi dello yogurt dopo una notte a bagno nel latte.

Ecco a voi un elenco delle principali:

I serpenti: E’ una fobia che ho ereditato da mio papà, come l’emicrania con aura e le dita cicciottelle. In effetti dal vero è raro incontrarne uno, ma io mi paralizzo, anche se li vedo raffigurati in immagine. E, da questo punto di vista, la mia vita è irta di insidie.

Innanzitutto ci sono i libri: quando leggo ai miei figli quelli sugli animali, prima di voltare pagina chiedo sempre loro di sbirciare se in quella successiva c’è un se… ser… serp … va beh avete capito.

Poi ci sono i documentari, che non posso guardare perchè, puntuale come l’autobus quando accendi una sigaretta alla fermata, spunta una linguetta sibilante, sempre, è matematica.

Infine ci sono i film. Certo non guarderei “Mamba” o “Snakes on a plane” neanche sotto tortura, ma gli odiati rettili te le ritrovi anche nelle scene di pellicole insospettabili. Ne “Le streghe di Eastwek”, per esempio, ce n’è una in cui Cher si risveglia una mattina in un letto pieno di serpenti di tutte le lunghezze e dimensioni. Penso di essermeli sognati per un mese intero. Adesso, però, non attaccate con la storia della simbologia fallica di Freud e dei sogni che son desideri.

Film horror: Vi basti pensare che alle elementari una mia compagna mi aveva raccontato la trama de: “La Bambola assassina”. Quando sono tornata a casa, mia mamma non capiva perchè, all’improvviso, volessi buttare via le Barbie, il Cicciobello e perfino l’innocua Sbrodolina.

Prendere l’aereo: appena salgo su un aereo mi scorre davanti tutta la trama di “Passenger – terrore ad alta quota”.

Auguratevi di non avermi mai come vicina di poltrona: al momento del decollo potrei conficcarvi le unghie nel braccio  o avvinghiarmi al vostro bicipite come un boa constrictor.

Le malattie: Fino a qualche tempo fa, quando entravo nello studio del mio medico, lui mi guardava come fossi un’apparizione.

Oggi, quando non sto bene, divento peggio di un uomo con qualche lineetta di febbre: sono certa di essere affetta da una patologia incurabile, chiamo mia mamma affinchè accorra al mio capezzale, dispongo in tutta fretta delle mie ultime volontà.

Gli attentati: dopo quelli di Parigi, quando salgo sui mezzi pubblici controllo il volto dei passeggeri come se i lineamenti ne potessero rivelare le intenzioni criminali. Della serie: Lombroso scansati.

Se poi mi accorgo di un bagaglio abbandonato avverto nell’ordine: la Polizia, I Carabinieri, i Vigili del Fuoco e la Guardia di Finanza. Se ho scordato qualcuno vi prego di dirmelo, che, se ricapitasse, non vorrei lasciare nulla d’intentato.

La chat di classe: tremo ogni volta che sento il bip della suoneria del gruppo. Mi viene il batticuore al pensiero di quale sarà il tema della prossima inutile, ma sentitissima problematica. L’ultima è stata: “piove, avranno freddo i nostri pulcini ?”

Il cambiamento: di solito cambiare strada fa paura perché ci spinge verso l’ignoto, mentre quello che abbiamo già sperimentato, anche se è una palude melmosa, ci appare più sicuro. Nel mio caso, aggiungeteci che sono medaglia d’oro in insicurezza e cintura nera d’ insuccessi e potrete immaginare perché il cambiamento mi incuta tanto timore.

Ultimamente però ho smesso di stare attaccata alla mia comfort zone come una cozza al suo scoglio. Non significa che mi lancio nel vuoto senza paracadute sperando di non schiantarmi. Ma ho imparato a spacchettare l’obiettivo finale, che spesso sembra troppo grande da raggiungere, e ad affrontare il cambiamento un passo alla volta. E devo dire che così fa meno paura.

In effetti sono convinta che si possa vivere senza farsi condizionare dalla proprie fobie. Ognuno deve trovare la propria modalità, ma vi assicuro che riderci sopra può aiutare, davvero.

Dondolina

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Dondolina

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