Dice lui: dai, scendi tu oggi a fare spesa, che così prendi un po’ d’aria.
Sono quindici giorni che non esco nemmeno sul balcone, per cui mi decido.
-La mascherina? No, per favore, quella tua antipolvere che usi per il bricolage no. Sai che faccio, mi annodo la kefiah che quella non fa passare niente, te lo garantiscono i palestinesi. Come “che è sta tovaglietta” dai, non mi dire che non l’hai mai vista!-
Scendo, ho il supermarket sotto casa, c’è una fila di almeno venti persone, distanziate tre o quattro metri l’una dall’altra, chiedo chi è l’ultimo e non mi risponde nessuno. Richiedo e niente, mi guardano e non parlano. Per il nervoso mi vengono due colpetti di tosse, di quella secca. Che ve lo dico a fa’ ??? Tutti istintivamente si girano dall’altra parte, quindi è inutile chiedere ancora. Non so perchè non si possa parlare, mi sembra un’esagerazione priva di senso. Visto che la fila è a U mi metto di lato verso il curvone, prima o poi capirò.
Guardo le donne in fila, capelli stopposi con la ricrescita minimo tre dita, tute bucate ( sono uscite con la tuta di casa?) e poi quelle mascherine col filtro davanti che le fanno sembrare marziane. Certe sembra che abbiano proprio uno scafandro da palombaro.
Anche io non devo avere un bell’aspetto, di sicuro i capelli sono orami un disastro. Sembriamo un gruppo di persone di “the day after”, anche per l’atmosfera surreale che si respira.
Fanno entrare me con la kefyah insieme ad una con lo scafandro: sembriamo due terroriste in azione, ci starebbe bene una mitraglietta che esce dalla borsa.
Dentro, è tutto un viavai di carrelli che cercano di scantonarmi, passo io e loro girano. Quelle con la mascherina con la proboscide davanti in realtà sono le più aggressive. Me ne ritrovo una che bofonchia come un cane rabbioso indicandomi con la mano la striscia gialla.
Ed io che sto sempre dalla parte sbagliata del mondo, mi sento un’untrice.
Eccheccazzo…basta, me ne sto a casa!
Dice:-scendi tu a far la spesa che ti distrai un po’-
-Ma anche no-
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