Stamattina ho partecipato ad un incontro con Capessa Squadra Mobile e Presidentessa Telefono Rosa sulla violenza contro le donne 2.0.
Parterre per lo più di anziane e anziani .
Di ragazze e ragazzi manco la più pallida, impalpabile ombra.
Ho appreso che la fascia di età delle donne più menate, sparate, sgozzate, incenerite, stuprate, stalkingzzate, molestate e azzerate psicologicamente è quella dai 20 ai 50.
Ossia quella che in platea mancava.
Ossia quella che bisognerebbe affollasse questi incontri e si mettesse in coda davanti alle Procure.
E quindi è da ieri che provo a pensare come portare vittime certe di abusi e violenze e vittime potenziali, quelle, per intenderci, che sono al primo punto di non ritorno del primo schiaffo, ad incontri pubblici informativi e salvifici.
Oltre ad andare nelle scuole e mettere nei cervelli e nelle mutande dei maschi l’idea che la tua ragazza non è TUA in quanto bene rifugio accatastato, ma tua come pron. pers. f. momentaneo gentilmente concesso
e alle ragazze che una sberla e il controllo del cell sono tutto fuorchè farfalle nello stomaco, il difficile è raggiungere le altre.
Quelle che a scuola non ci vanno più da decenni.
Quelle che casa, lavoro e percorsi sono carceri di massima sicurezza inespugnabili.
L’unica che mi è venuta, per quanto difficoltosa possa sembrare in questo momento, in questo Paese di macelleria sociale allo sbando, di scazzo al cubo, di violenza che si inala persino a lezione di yoga, è anche l’uovo di Colombo dell’ovvietà quotidiana.
Perchè ogni sbattuta giù dalle scale ha una vicina di scala, ogni occhio nero ha qualcuno che la guarda negli occhi, ogni spalla incrinata ha una commessa di farmacia, ogni ematoma ha un’amica che se ne accorge.
Non resta che chiedere, anche a costo di essere invitate a farci i cazziemazzi nostri, non resta che continuare a farsi avanti e suonare campanelli e lasciare sotto porte in cui troppe continuano a sbattere il biglietto “Neanche con un fiore ma solo con una denuncia”.
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