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23 Maggio 1992: la strage di Capaci e la fine dell'ingenuità

23 Maggio 1992: la strage di Capaci e la fine dell’ingenuità

Maggio è sempre stato uno dei miei mesi preferiti. Mi piace proprio come suona: Maggio.

Anzitutto è giallo: per me è tutto giallo.
Sarà per quel vestito che avevo alla festa di fine anno scolastico.
Poi Maggio odora di fragole e panna, quelle che mia madre usava per farcire le torte  del compleanno di mio fratello che capita proprio in questo mese. E, in effetti, Maggio per me è un po’ come mio fratello: luminoso, limpido e anche piuttosto sorprendente.

Non sai mai bene cosa aspettarti, dal mese di Maggio.

Il 23 maggio del 1992, per esempio, mio fratello compiva 8 anni e a casa mia si faceva festa.
Vivevamo in un appartamento minuscolo ma in quella occasione era comunque pieno di bambini, mamme e giocattoli. C’era la Coca Cola, la Fanta che non voleva nessuno e i dolci, quelli che hanno reso mia madre leggenda ancora oggi, tra i miei amici: ciambella mele e noci, torta al cioccolato, frittelle e soprattutto, torta di fragole e panna.
Insomma, era un compleanno meravigliosamente tipico, usuale.
Ma era Maggio, il mese imprevedibile. Le cose che non ti aspetti hanno la particolarità di annunciarsi e di rimanere nella memoria, con dettagli piccoli ma incancellabili.

Dopo la confusione del pomeriggio, verso ora di cena, tutti erano andati via e i miei erano indaffarati con le pulizie. Mio padre girovagava con il bustone nero dell’immondizia, mia madre ripartiva gli avanzi in coppette e piattini di carta da distribuire al vicinato, il giorno dopo.
Mio fratello aveva acceso la televisione. Di solito la guardavamo insieme, incantati e un po’ annichiliti, come due bravi “tossici” del tubo catodico. Ma quella sera erano rimaste le fragole con la panna che per me sono sempre state la priorità. Così, approfittando della distrazione di tutti, mi infilai di testa nel frigo a torturare le fette di torta rimaste, per privarle delle loro fragole.

Era un momento tranquillo. Eravamo in quella fase in cui la stanchezza diventa silenzio e dell’adrenalina della festa restavano solo i nostri volti avvampati e le mani appiccicose. Era un momento uguale a tutti quelli che arrivavano alla fine dei compleanni di Maggio, a casa mia.

Poi però, mio fratello indicò la tv e disse “Papà, ma Falcone era quel giudice di cui ci parlavi tu?”

“Non era, rispose mamma senza smettere di riordinare. Lo è ancora. Non è morto”

Papà, invece, dovette intuire e, come sempre, non disse molto, solo una frase: “Questo mi dispiace tanto”

Io avevo 6 anni, non sfilai la testa dal frigo ma smisi di mangiare le fragole e restai solo a fissarle, tutte rosse, spappolate.
All’improvviso mi sembrarono tremendamente brutte .

Mia mamma mi disse di avvicinarmi a loro: dovevo sapere anch’io cosa era successo. Ma non ci capii molto e mi limitai a guardare il volto di mio padre.

Per me, la strage di Capaci è questo: un’ interruzione. La normalità che diventa orrore, l’ingenuità che diventa turbamento, il silenzio che diventa tristezza, le fragole che diventano poltiglia.

Ancora oggi, dopo 25 anni, ogni volta che sento parlare di Falcone, mi viene in mente l’espressione di mio padre, un’espressione che non gli avevo mai visto, incredula e quasi spaventata.
E secondo me quell’espressione lì, la nostra generazione, chi più chi meno, ce l’ha scritta ancora in faccia.[:it]

Maggio, Capaci

23 Maggio 1992: la strage di Capaci e la fine dell'ingenuità

23 Maggio 1992: la strage di Capaci e la fine dell’ingenuità

Maggio è sempre stato uno dei miei mesi preferiti. Mi piace proprio come suona: Maggio.

Anzitutto è giallo: per me è tutto giallo.
Sarà per quel vestito che avevo alla festa di fine anno scolastico.
Poi Maggio odora di fragole e panna, quelle che mia madre usava per farcire le torte del compleanno di mio fratello che capita proprio in questo mese. E, in effetti, Maggio per me è un po’ come mio fratello: luminoso, limpido e anche piuttosto sorprendente.

Non sai mai bene cosa aspettarti, dal mese di Maggio.

Il 23 maggio del 1992, per esempio, mio fratello compiva 8 anni e a casa mia si faceva festa.
Vivevamo in un appartamento minuscolo ma in quella occasione era comunque pieno di bambini, mamme e giocattoli. C’era la Coca Cola, la Fanta che non voleva nessuno e i dolci, quelli che hanno reso mia madre leggenda ancora oggi, tra i miei amici: ciambella mele e noci, torta al cioccolato, frittelle e, soprattutto, torta di fragole e panna.
Insomma, era un compleanno meravigliosamente tipico, usuale.
Ma era Maggio, il mese imprevedibile. Le cose che non ti aspetti hanno la particolarità di annunciarsi e di rimanere nella memoria, con dettagli piccoli ma incancellabili.

Dopo la confusione del pomeriggio, verso l’ora di cena, tutti erano andati via e i miei erano indaffarati con le pulizie. Mio padre girovagava con il bustone nero dell’immondizia, mia madre ripartiva gli avanzi in coppette e piattini di carta da distribuire al vicinato il giorno dopo.
Mio fratello aveva acceso la televisione. Di solito la guardavamo insieme, incantati e un po’ annichiliti, come due bravi “tossici” del tubo catodico. Ma quella sera erano rimaste le fragole con la panna, che per me sono sempre state la priorità. Così, approfittando della distrazione di tutti, mi infilai di testa nel frigo a torturare le fette di torta rimaste, per privarle delle loro fragole.

Era un momento tranquillo. Eravamo in quella fase in cui la stanchezza diventa silenzio e dell’adrenalina della festa restavano solo i nostri volti avvampati e le mani appiccicose. Era un momento uguale a tutti quelli che arrivavano alla fine dei compleanni di Maggio, a casa mia.

Poi però, mio fratello indicò la tv e disse “Papà, ma Falcone era quel giudice di cui ci parlavi tu?”.

“Non era, rispose mamma senza smettere di riordinare. Lo è ancora. Non è morto”.

Papà, invece, dovette intuire e, come sempre, non disse molto, solo una frase: “Questo mi dispiace tanto”.

Io avevo 6 anni, non sfilai la testa dal frigo ma smisi di mangiare le fragole e restai solo a fissarle, tutte rosse, spappolate.
All’improvviso mi sembrarono tremendamente brutte.

Mia mamma mi disse di avvicinarmi a loro: dovevo sapere anch’io cosa era successo. Ma non ci capii molto e mi limitai a guardare il volto di mio padre.

Per me, la strage di Capaci è questo: un’interruzione. La normalità che diventa orrore, l’ingenuità che diventa turbamento, il silenzio che diventa tristezza, le fragole che diventano poltiglia.

Ancora oggi, dopo 25 anni, ogni volta che sento parlare di Falcone, mi viene in mente l’espressione di mio padre, un’espressione che non gli avevo mai visto, incredula e quasi spaventata.
E secondo me quell’espressione lì, la nostra generazione, chi più chi meno, ce l’ha scritta ancora in faccia.

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